Vladimir Putin (foto LaPresse)

Ma Putin ha voglia di aiutarci a combattere lo Stato islamico? Per ora non è interessato, ci dice un esperto

Marta Allevato

Renzi va a Mosca (a chiedere sostegno per la Libia?), ma la Russia non vuole rompere il suo “doppio standard” con l’islam. L’esempio della Cecenia? Lì è in vigore la sharia.

Mosca. Il premier italiano, Matteo Renzi, verrà a Mosca il prossimo 5 marzo per sondare le possibilità di una mediazione di Vladimir Putin tra Egitto e Turchia nella crisi libica? Per uno dei massimi esperti russi d’islam e fondamentalismi religiosi, Alexey Malashenko del Carnegie Center di Mosca, questo sarebbe un “attestato di fiducia” nei confronti del Cremlino, nonostante le tensioni con l’occidente sull’Ucraina, ma anche un’ipotesi su cui andare molto cauti, a causa di quel “doppio standard” che caratterizza le relazioni della Russia col mondo musulmano e l’estremismo.

 

“Putin è molto meno interessato di quanto dichiari ufficialmente a impegnarsi concretamente nella lotta contro lo Stato islamico”, racconta al Foglio Malashenko, secondo il quale il gruppo terroristico “non rappresenta per ora una minaccia reale per la Russia”. “Ci sono problemi legati alla partecipazione di cittadini russi alle operazioni armate nei paesi dove è presente l’Is”, ammette l’esperto, “si tratta di qualche migliaio fra caucasici, tatari e baschiri”, ma “finora lo Stato islamico non è riuscito a espandersi nello spazio post sovietico”. L’anno scorso, Abu Bakr al Baghdadi attaccò direttamente Putin per il sostegno al regime siriano, “minacciò di portare la guerra nel Caucaso russo (a maggioranza musulmana), ma sono stati solo slogan vuoti”.
Aspetto non secondario per le logiche su cui ragiona oggi il Cremlino “è il fatto che lo Stato islamico combatte dichiaratamente una guerra contro l’occidente”, fa notare Malashenko. Questa propaganda “assomiglia molto a quella ufficiale di Mosca, che incolpa continuamente di tutto Europa e Stati Uniti, e che sottolinea senza sosta come la Russia differisca dall’occidente, in termini di cultura e valori; proprio come fa l’estremismo islamico”.

 

Secondo l’analista del Carnegie – autore di diversi libri sull’islam russo e conoscitore della lingua araba – questa è una situazione per niente facile, perché Mosca “è interessata a non mostrarsi alleata dell’occidente”. In una coalizione internazionale contro lo Stato islamico (a cui comunque non è stata invitata) “la Russia non parteciperà mai, perché convinta che il mondo musulmano debba risolvere da solo i suoi problemi interni”. Putin, negli ultimi anni, si è speso molto nel condannare il terrorismo, nell’esprimere solidarietà e offrire collaborazione ai leader dei paesi colpiti dagli islamisti. Lo ha fatto, di recente, con uno degli esponenti di maggior rilievo della sua nuova rete di alleanze, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, dopo la strage dei copti a Sirte. La Russia stessa – dove i musulmani, con 16 milioni di abitanti, rappresentano la seconda comunità religiosa – è stata più volte vittima di attentati, dalle sue periferie fino al centro della sua capitale. A ogni occasione possibile, il Cremlino ribadisce che nella lotta al terrorismo non si deve adottare un doppio standard, perché si tratta di una causa internazionale, che l’occidente non può risolvere senza l’aiuto russo. Possibile che sia tutta retorica? “Sì, nei fatti la Russia non partecipa e non vuole partecipare a questa guerra. Quando al Qaida era nella sua fase attiva, aveva nel mirino anche la Federazione russa, come parte dell’occidente”, ricorda Malashenko, “mentre negli ultimi mesi, sui media musulmani, nessuno la tocca più”. “Questa, in linea di principio, è una vittoria per Mosca”.

 

Avallare un possibile intervento dell’Onu – anche solo di peacekeeping – in Libia significherebbe ora azzerare questi risultati, presentandosi come alleato dell’occidente. Senza dimenticare che sull’islam la Russia “usa un doppio standard: condanna l’estremismo, ma poi nel mondo musulmano (‘dove non ha mai fatto una vera scelta tra sunniti e sciiti, ma solo giochi di convenienza politica’) supporta il sentimento anti occidentale e ama molto farlo”, denuncia Malashenko. Emblema di questo rapporto ambiguo con i musulmani è il caso della Cecenia: “Una Repubblica della Federazione russa che vive secondo la sharia e dove l’islamizzazione è stata attuata non da un mufti o da un imam, ma da una figura laica, come Ramzan Kadyrov, che con metodi autoritari e dietro la promessa di eterna fedeltà a Putin ha assicurato relativa stabilità alla regione, dopo ben due guerre”. Kadyrov è megafono, nella comunità islamica russa, dell’ideologia anti occidentale di Mosca e “condanna America ed Europa per aver provocato la crisi ucraina e aver sostenuto lo Stato islamico, creato – a suo dire – dalle intelligence occidentali”.

 

[**Video_box_2**]D’altro canto, anche un impegno indiretto contro lo Stato islamico in Libia, nella veste di mediatore tra Egitto e Turchia – i paesi che manovrano i due governi di Tobruk e Misurata – è una prospettiva molto scivolosa per Putin. “La Russia ha oggi buoni rapporti sia con Ankara che col Cairo”, sottolinea Malashenko, “ma per giocare il ruolo di intermediario deve prepararsi bene, perché si possono fare molti errori e rischiare di perdere sia Turchia sia Egitto, che tra loro hanno relazioni complesse e ambiscono entrambi a una propria posizione nel mondo arabo”. Inoltre, Mosca non ha ancora nel curriculum alcuna mediazione di successo: “Il conflitto in Nagorno Karabakh e il lavoro tra opposizione siriana e Damasco non sono esempi da poter prendere sul serio”. “Sarà interessante vedere se l’Italia farà questo tipo di proposta a Putin”, continua l’esperto. “Sarebbe anche un attestato di fiducia di Roma nei confronti del presidente russo, che potrebbe davvero guadagnare molto dalla riuscita dell’impresa di paciere”, tornando sulla scena internazionale come attore determinante, dopo l’isolamento causato dall’operazione Crimea e dalla guerra in Donbass.

 

Uno scenario del genere, comunque, comporterebbe anche “una valutazione più ampia, da parte del governo italiano, sulle generali capacità di azione della Russia in medio oriente”. Coinvolgere il Cremlino nel tentativo di trovare una soluzione alla crisi libica è importante, conclude Malashenko, ma attenzione: per ora Putin è più intenzionato a rimanere a guardare in disparte che a sporcarsi le mani.

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