Nigel Farage (foto LaPresse)

Farage ride quando parlano male di lui

Cristina Marconi

L’Ukip non è mai stato così impresentabile, l’Ukip non è mai stato così forte. A poco più di due mesi dalle elezioni, la scena politica britannica è più frammentata che mai e quello che cinque anni fa era un abbozzo di tripartitismo ora sta diventando qualcosa di molto più complesso.

Londra. L’Ukip non è mai stato così impresentabile, l’Ukip non è mai stato così forte. A poco più di due mesi dalle elezioni, la scena politica britannica è più frammentata che mai e quello che cinque anni fa era un abbozzo di tripartitismo ora sta diventando qualcosa di molto più complesso. Philip Stephens scrive sul Financial Times che l’establishment inglese, così come lo conosciamo, è finito, e che la “colla della Britishness” che teneva unito il paese si è persa, lasciando soltanto un “vuoto di legittimità”, in cui vincono gli “anti: gli anti elite, gli anti Europa, gli anti immigrati e gli anti capitalismo”. Nel verdeggiante panorama campestre e spaccato disegnato dall’Economist nella sua copertina di questa settimana,  le due zolle di terra più grandi sono occupate dal Labour e dai Tory, ma se l’attuale premier Tory David Cameron sembra soprattutto soddisfatto di vedere il suo vice liberaldemocratico, Nick Clegg, cadere giù nel burrone, il troppo laburista Ed Miliband rischia di fare la stessa fine per mano di una inflessibile Nicola Sturgeon dello Scottish National Party.

 

In tutta questa violenza, le due figure più ottimiste sono quella della leader dei Verdi Natalie Bennett che avanza serena in bicicletta, e del sardonico Nigel Farage con la sua tazza di té in mano. Perché se l’Ukip non ha colpito il paese al cuore, ne sta sicuramente rosicchiando i bordi. Oltre alle due costituencies già conquistate, Rochester e Clacton, i sondaggi danno il partito in avanzata in altre tre circoscrizioni, Castle Point e South Basildon&East Thurrock, entrambe in Essex, e Boston&Skegness, in Lincolnshire. Tutte città costiere, con l’eccezione di Rochester che è fluviale, tutti luoghi che faticano a trovare una loro strada verso il futuro, come tanti loro abitanti di una certa età che con il mondo contemporaneo non sanno fare pace e che non si adeguano al linguaggio progressista dei media. I quali già da tempo vanno a caccia dell’ultima gaffe, della parola irripetibile, della battuta stantia e razzista, della scivolatura antisemita. “E’ molto facile tendere tranelli a questi elettori e portarli a infrangere l’ultimo tabù di questo paese: il razzismo”, spiega al Foglio David Goodhart, direttore del think tank Demos e autore di “The British Dream”, un libro sull’immigrazione in cui sostiene che sia ingiusto accusare di razzismo chi è preoccupato dei cambiamenti che l’accoglientissima Gran Bretagna sta attraversando. “Ogni forma di preoccupazione di natura demografica è diventata razzismo, e questo svuota la parola stessa”, prosegue Goodhart, inviso ai liberali da quando nel 2004 pubblicò sul Prospect Magazine da lui fondato un articolo intitolato “Too diverse?” in cui iniziava ad enunciare le sue teorie. “Ci saranno anche dei razzisti dentro Ukip, ma ci sono soprattutto persone preoccupate, e il partito è diventato il grande campo di battaglia in cui stiamo lottando contro il tabù di cui sopra, il razzismo”, col risultato, spiega, che “i media liberali stanno facendo involontariamente da sergente reclutatore per conto dell’Ukip”.

 

Il risultato, a qualche mese dalla conquista dei primi due seggi a Westminter – l’augusto palazzo, peraltro, ha seri cedimenti strutturali e ha scelto questa campagna elettorale imprevedibile per manifestarli – è che gli Ukippers hanno guadagnato in sicurezza e a ogni nuovo errore sembrano fare più cerchio intorno ai propri membri, sembrano sentirsi meno in dovere di scusarsi. Al momento l’elettore Ukip sta avendo più successo e più visibilità di Nigel Farage stesso, che in attesa della stagione a lui propizia dei dibattiti televisivi non tocca quasi palla mentre cerca di avventurarsi con passo incerto al di fuori del suo binomio tematico classico immigrazione-Europa, Europa-immigrazione.

 

La Bbc ha trasmesso “Meet the Ukippers”, cinquanta minuti di documentario in cui si racconta il partito nel Thanet, penisola del Kent baciata da un sole impareggiabile per gli standard britannici ma il cui appeal turistico è stato spolpato dall’arrivo di Ryanair e dalla concorrenza del ben più tenace beltempo spagnolo. Intervistando anziani sostenitori nelle strade decadenti e multietniche di Ramsgate e Cliftonville, la Beeb ha tracciato un ritratto vivace ma certo non lusinghiero di militanti di mezza età – una consigliera dell’Ukip di nome Rozanne Duncan, prontamente espulsa dal partito – che parlano del fatto che hanno “un vero problema ad accettare le persone con tratti negroidi” e della legittimità di descrizioni come quella secondo cui gli ebrei hanno il naso adunco e le loro mogli portano la parrucca. Channel4, canale pubblico ma finanziato con la pubblicità e quindi non vincolato al leggendario equilibrio della Bbc, è andato un po’ oltre, con una docu-fiction dal sapore distopico in cui un improbabile presentatore anziano annuncia i risultati delle elezioni 2015: con un twist che si vuole quasi fantascientifico, il partito di Nigel Farage è in grado di formare un governo. “Ukip, I primi 100 giorni” è raccontato dal punto di vista di un’ambiziosa deputata di origine asiatica, volto di punta del partito per fugare ogni accusa di razzismo. Alla seconda settimana, il Regno Unito esce dall’Unione europea, poi la deputata piange per la chiusura di aziende e la perdita di posti di lavoro, e infine iniziano gli episodi di razzismo, di espulsioni di immigrati. Il tutto filmato con interviste, finti notiziari e un lieto fine in cui lei se ne va dall’Ukip finalmente rinsavita. E la gente ha protestato. Molto. Il media watchdog Ofcom ha ricevuto 6.500 segnalazioni e ha aperto un’inchiesta per vedere se tutto quell’uso di immagini di archivio di sostenitori dell’Ukip che applaudono montate insieme a finti discorsi di leader del partito siano o no “misleading”, ingannevoli. E se la storia della finta deputata indiana sia anch’essa tendenziosa. Fatto sta che già a febbraio Channel4 ha superato per numero di proteste tutti i programmi del 2014, dando un grande assist a Farage, che ha twittato serafico: “Sembra che 100DaysOfUkip stia sortendo l’effetto opposto. Una visione distorta e di parte dell’Unico partito che crede nella Gran Bretagna”.

 

Il Telegraph, che sta facendo una campagna anti Ukip che neanche il Socialist Workers’ Party, cita da giorni un sondaggio commissionato da Lord Ashcroft secondo cui l’Ukip è ai minimi, appena all’11 per cento dei consensi, dopo che la gente ha capito grazie ai recenti programmi tv quanto siano razzisti e retrogradi. YouGov chiede a chi passa sul suo sito di rispondere alla domanda: cosa ne sarà dell’Ukip tra 10 anni. La maggioranza sostiene che sparirà. Possibile. Ma l’Ukipper ormai è nato e non sarà facile demolirlo.

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