Via dal nord e non per povertà. Come è cambiata l'emigrazione italiana

Roberto Volpi

Gli italiani trasferitesi all'estero sono passati dai 35mila del 1995 (anno d’inizio della rilevazione) agli 82mila del 2013. Ma chi sono gli emigranti? Sono di preferenza i cittadini del nord, sono i lombardi in primis.

"Cancellati per trasferimenti di residenza all’estero". Non è una voce che invogli alla lettura, vuoi mettere “emigrati”? Si è fatto un gran parlare di quanto, in tempi di crisi, questa voce sia cresciuta. Ma in questo aumento vanno considerati anche considerati gli stranieri che prima hanno acquisito la residenza in Italia e poi, in un secondo tempo, l’hanno lasciata per trasferirsi all’estero. Questi ultimi sono passati dai 35mila del 1995 (anno d’inizio della rilevazione) agli 82mila del 2013.

 

L’incremento di trasferimenti all’estero ha iniziato a crescere sensibilmente dal 2008, e si è specificamente consumato nel quadriennio 2010-2013, allorché gli italiani che hanno trasferito la residenza fuori dall’Italia sono passati dai 40mila a 82mila. Tra il 1995 e il 2007 c’era stata invece una piccola contrazione del fenomeno. Una cifra che equivale a poco più di un cittadino su mille (1,35 per la precisione), quindi qualcosa di fisiologico in tempi di globalizzazione crescente e non patologica, come è stato scritto.

 

Ma chi sono gli emigranti? Sono di preferenza i cittadini del nord, sono i lombardi in primis, e più in generale i cittadini delle regioni più ricche d’Italia, con la più alta occupazione, col più alto reddito. Tra il 1995 e il 2010, primo anno dell’aumento dell’emigrazione, i trasferimenti all’estero degli italiani residenti nel Mezzogiorno d’Italia crollavano, passando da 18,6 a 10,8mila, il 42 per cento in meno, mentre dalle regioni del nord si passava da 11,8 a 21,3mila, con un aumento dell’81 per cento. Dopo il 2010 la contrazione nel Mezzogiorno si è arrestata, tornando a crescere sino ai 25,2mila trasferimenti del 2013, un dato comunque nettamente inferiore rispetto ai 42,3mila trasferimenti verso l’estero delle regioni del nord Italia.

 

A questo punto resta da capire com’è che (a) nel lungo periodo prima della crisi economica attuale il tasso di trasferimento verso l’estero del sud è quasi dimezzato mentre (b) è quasi raddoppiato quello del nord, verificandosi così (c) uno storico sorpasso nel numero degli emigrati e nei tassi di emigrazione verso l’estero del “ricco” nord rispetto al “povero” sud che (d) continua ancora oggi.

 

[**Video_box_2**]Siamo nel campo delle ipotesi, certo, ma leggendo dati non si sfugge a una prima osservazione ossia che il sud non è povero come la si è dipinto. Come mai infatti se una famiglia su quattro versa in stato di povertà e una su due è a rischio povertà, prende la via dell’estero una persona ogni duemila? E non si sfugge nemmeno a una seconda osservazione: i trasferimenti all’estero riguardano, non tanto la povertà, ma il bisogno di vedere realizzate aspirazioni e ambizioni personali. Non sono più le necessità materiali a spingere tanti italiani fuori dai confini nazionali, ma la voglia di arrivare a una posizione lavorativa consona al proprio percorso di studi. Ecco perché il maggior numero di emigranti è del nord, zona nella quale è mediamente più forte la tensione a realizzare aspirazioni e ambizioni e dove la preparazione professionale e gli strumenti tecnico-culturali sono maggiori. E’ dunque un altro gap nord-sud, inatteso perché rovesciato rispetto agli stereotipi, quello che spunta dai dati di quanti prendono la via dell’estero. Ma proprio per questo da considerare con attenzione maggiore dalle istituzioni se davvero si vuole cambiare verso all’Italia.

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