Alexis Tsipras e (di spalle) Angela Merkel

Sovranità democratica 2.0

Il via libera condizionato dell'Ue al piano greco è la fine degli stati nazionali

Marco Valerio Lo Prete

L’ok della Commissione alle riforme di Tsipras, tra cedimenti sul radicalismo e aiuti in arrivo per 4 mesi. Fmi arcigno

Roma. Un programma di riforme in Grecia da ieri ufficialmente c’è, vidimato nelle sue linee generali dalla Commissione europea e dai creditori di Atene che in cambio hanno concesso aiuti finanziari per altri quattro mesi. Un programma di riforme, sulla carta, c’era anche prima, era quello promosso in campagna elettorale da Syriza, partito della sinistra radicale al governo. Tuttavia tra il programma vidimato ieri e quello promosso pubblicamente nelle scorse settimane, le differenze sono sostanziali. Di taglio del debito pubblico, oggi per esempio non si parla, e non è poco. La marcia indietro sulle privatizzazioni non c’è, tutt’al più una maggiore cautela per non vendere a prezzi di saldo quello che resta. C’è molta lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, nel programma di oggi, ma nessun riferimento esplicito alla reintroduzione della contrattazione sul lavoro a livello nazionale. Ieri la cancelliera Angela Merkel ha detto che “il lavoro non è ancora terminato”, poi subito dopo ha chiesto ai conservatori della Cdu di approvare l’estensione degli aiuti al paese. “Una lista non molto specifica”, ha commentato severo il Fondo monetario internazionale. L’Eurogruppo intanto ha dato il via libera, pur con l’auspicio che le autorità elleniche “sviluppino ulteriormente e amplino la lista di misure di riforma”.

 

Radicalismo e mandato popolare, dunque, sono stati temperati. Mai come oggi, di fronte alle aspettative di palingenesi anti austerity create un po’ ovunque dal premier Alexis Tsipras e dal suo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, appare evidente che la sovranità democratica in senso tradizionale non esiste più. Almeno nell’Eurozona. Le politiche di sinistra-sinistra sono bandite a priori? “Uno stato che intenda portare avanti politiche di forte spesa pubblica, pure a scapito del proprio bilancio, si trova oggi in posizione minoritaria in Europa”, dice al Foglio Enzo Moavero Milanesi, profondo conoscitore delle dinamiche comunitarie e già ministro degli Affari europei nei governi Monti e Letta. “Da qui a sostenere che la democrazia sia mutilata, ce ne passa. D’altronde nell’Eurozona non è più corretto ricondurre la democrazia unicamente all’espressione sovrana della maggioranza degli elettori di un paese”. Conta infatti il confronto con “altri governi, anch’essi democraticamente eletti. E’ da questo confronto che scaturiscono le politiche europee. Quelle di Syriza, evidentemente, erano poco condivise”. Il discorso, secondo Moavero, vale per la Grecia ma anche per Italia e Germania, per esempio. Non ci sono soltanto vincoli normativi comuni, come il Fiscal compact. “Soprattutto, in un insieme fortemente amalgamato a livello di economia reale, ogni atto nazionale si ripercuote sui partner. Il caso greco, con gli altri stati creditori, è soltanto il più estremo”.

 

“Non può quindi stupire se ciascun governo sta ben attento alla politica degli altri, sulla quale influisce attraverso i meccanismi comuni europei”, dice Moavero Milanesi. Questa volta, con il nuovo governo greco, si è andati ben oltre il semplice rispetto dei vincoli del Trattato, non trova? E’ scritto in qualche Trattato che la contrattazione del lavoro debba essere compiuta su base aziendale e non nazionale? “Ho già detto delle regole e dell’interdipendenza tra politiche statali – dice l’ex ministro per gli Affari europei – ma c’è un altro aspetto da tenere in considerazione. Il contesto internazionale è cambiato, si affermano nuovi protagonisti che sono concorrenti degli stati europei. L’Europa è meno prospera che in passato, ha meno risorse da spendere. I suoi paesi rischiano di vivere al di sopra delle loro possibilità, oberati da debito e in declino”. La maggioranza delle leadership europee si è convinta che per rispondere a questa sfida occorre diventare “più competitivi” e rivedere il nostro sistema di welfare: “Le scelte da fare sono difficili. La lezione del confronto tra Atene e Bruxelles, a ben vedere, è una lezione democratica”. Democratica, ma di un nuovo tipo: “Ci sono aspirazioni nazionali che si intersecano con le posizioni di altri paesi. Se tutti collaborano, possono trovare una sintesi a livello europeo. Sintesi che, in caso di mancato accordo, sarà espressione della maggioranza dei governi dell’Eurozona”. Sottinteso: con buona pace della maggioranza degli elettori greci. 

 

Sergio Fabbrini, direttore della Luiss school of government e già direttore della Rivista italiana di scienza politica, sostiene che il governo greco, durante la sua campagna elettorale e nelle prime settimane di baldanzose uscite anti austerity, ha pagato un certo “ritardo cognitivo”: “Non esistono più gli ‘stati nazionali’, esistono soltanto gli ‘stati membri’ dell’Eurozona”, dice al Foglio. “Il punto è che il nuovo governo greco e il vecchio governo tedesco parlano la stessa lingua, quella dell’interesse nazionale. Ma ovviamente, nel metodo intergovernativo, la Germania la fa da padrona. Se l’Ue deve essere un’Unione di governi, è evidente che i governi dei paesi più grandi, più stabili e ricchi contano molto di più dei paesi più piccoli, instabili e poveri”. Fabbrini, studioso dell’integrazione europea, punta il dito su alcuni paradossi emersi dalle vicende di questi giorni: “La Grecia per esempio è sempre stata tra i paesi ‘sovranisti’, come il Regno Unito, cioè tra quanti avversavano il metodo comunitario e preferivano quello intergovernativo in cui ogni governo ha un voto. Oggi ne è schiacciata”. Ce n’è anche per la Germania: “All’inizio degli anni 90, Berlino, con una leadership non nazionalistica, preferiva il metodo comunitario. Fu la Francia di François Mitterrand, impaurita, a dire ‘no’. Il compromesso fu che la politica monetaria sarebbe stata del tutto indipendente ed europea, mentre la politica economica restava gestita a livello dei singoli stati. Oggi però, nel momento in cui la Francia per ragioni di debolezza economico-finanziaria ha abdicato al suo ruolo di controbilanciamento, della scelta intergovernativa beneficia comunque Berlino con il suo maggiore peso specifico”.

 

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Se infatti fino a qualche anno fa i Trattati consentivano una certa “discrezionalità” nella politica economica nazionale, pur a fronte di “vincoli su stabilità e crescita impregnati delle idee ordoliberali”, con la crisi “l’equilibrio tra discrezionalità e vincoli è saltato”, dice Fabbrini. Ora pesano di più i vincoli, apparentemente semplici algoritmi, in realtà ideologicamente piuttosto connotati: “L’ordoliberalismo, che nacque a Friburgo negli anni Trenta del secolo scorso come risposta intellettuale al collasso della Repubblica di Weimar, nel Secondo dopoguerra animò la dottrina dell’economia sociale di mercato nella Repubblica federale. Oggi l’ordoliberalismo è diventato filosofia europea”. Il governo greco dunque può essere stato eletto sulla base di una piattaforma quanto si vuole radicale, ma “all’interno del sistema monetario la discrezionalità politica è stata ridotta dall’inizio della crisi – dice il politologo – Prevale oggi un liberalismo ‘ordinato’, nel senso che non è fondato tanto su princìpi economici che potrebbero pure essere cangianti, ma su norme prefissate”. Chiosa in conclusione Fabbrini: “Non è un caso che, se si analizzano le recenti ondate di assunzioni alla Banca centrale europea, il numero di laureati in giurisprudenza sia cresciuto sostanzialmente”.

 

[**Video_box_2**]Nathan Gardels, direttore di Huffington Post World, ha indossato pure lui in passato le vesti di politologo per studiare il fenomeno della “depoliticizzazione” delle nostre democrazie. Oggi sostiene che la retromarcia imposta ad Atene va oltre quanto da lui auspicato: “La Grecia ha legittimamente reagito a certi eccessi di austerity, pure a costo di politicizzare il tema del debito pubblico. Come sempre, però, la retorica populistica semplifica la realtà e inganna le aspettative dell’opinione pubblica”. Una metafora aiuta a capire, secondo Gardels: “Anche se hai tutto il diritto di attraversare la strada sulle strisce pedonali, devi pur sempre guardarti attorno per non essere investito da un’automobile. Altrimenti you may be right, but you could be dead right”. Cioè potresti avere ragione, ma avere ragione da morto. Gardels, che ben conosce Mario Monti, osserva: “Mario riconobbe che, pure nel caso italiano, esistevano vincoli che sono annessi all’architettura europea. Ora però sono d’accordo con l’ex premier greco George Papandreou che è tornato a chiedere un referendum sul programma di riforme voluto dai creditori internazionali. Soltanto così le riforme potranno essere sentite come ‘proprie’ dai greci, e soltanto così si potrà svuotare il bacino dei populisti”.