Maurizio Landini (foto LaPresse)

Passeggiate romane

Perché Landini ha perso ogni speranza di diventare segretario della Cgil

Redazione

L'intenzione ultima del leader della Fiom è quella di esportare in Italia un esperimento alla "Podemos". Con chi? Civati e Boldrini interessati, Vendola si tira fuori.

Quella battuta pronunciata da Matteo Renzi, domenica, nel corso della trasmissione di Lucia Annunziata, "1/2 ora", in onda su Rai 3 a proposito di Maurizio Landini - "Non è lui ad aver abbandonato il sindacato ma è il sindacato ad aver abbandonato lui" - cela una malizia in più, oltre quella della quale si è scritto sul clamoroso fallimento dello sciopero Fiom a Pomigliano D'Arco. Il premier non insinua soltanto che Landini voglia buttarsi in politica perché Marchionne, alla fine della festa, l'ha avuta vinta su di lui. La malizia è anche un'altra. Una malizia che cela una verità. Ossia che il sindacato, nel senso della Cgil, ha scaricato Maurizio Landini, che invece aveva inseguito fino a qualche settimana fa. Prima Susanna Camusso era costretta a correre dietro al segretario della Fiom per non farsi scavalcare nelle iniziative di piazza e anti-governative. Ora invece la Cgil, sopratutto l'ala più ragionevole e riformista incarnata da Susanna Cantone, ha capito che quell'inseguimento, come quell'ossessione contro Renzi, rischiano di essere un errore. È chiaro che la Cgil continuerà a criticare il presidente del Consiglio e a fare la sua battaglia contro i disegni di legge e i decreti del governo che non le piacciono, come il Jobs Act, ma è altrettanto chiaro che quel l'organizzazione sindacale ha capito che con gli ultimi provvedimenti voluti da Renzi vi saranno presto nuove assunzioni. E quindi sarebbe miope ficcarsi in una crociata anti-premier punto e basta. Tanto più che una ripresa economica, seppur debole, è all'orizzonte. Con un atteggiamento impostato in questo modo è chiaro che Landini ha perso ogni treno per la sua corsa alla segreteria della Cgil. Già l'operazione non era facile, ma adesso che non si può più fare sulla scia di una vittoriosa battaglia che ha portato alla sconfitta di Marchionne e del presidente del Consiglio, è chiaro che ogni strada è preclusa per il leader della Fiom. Al quale, come dice Renzi, non resta che buttarsi in politica.

 

 

Il fatto poi che Landini ci tenga a precisare che non è sua intenzione né candidarsi, né dare vita a un partito, né tanto meno presentare una lista politica non significa nulla. Perché nel suo modo in po' involuto, quando dice che bisogna andare "oltre la rappresentanza sindacale" verso la "rappresentanza sociale", quando sostiene che è necessario "sfidare democraticamente Renzi", sta dicendo esattamente quello. Solo che invece di dirlo in politichese lo dice in sindacalese, lingua ancor più complessa. Ma una profonda conoscitrice di quel mondo come la giornalista dell'Huffinghton Post Angela Mauro spiegava proprio domenica scorsa che l'intenzione ultima del leader della Fiom è quella di esportare in Italia un esperimento alla "Podemos". Ma che cos'altro è Podemos se non un partito di sinistra che alle prossime elezioni spagnole tenterà di contendere la leadership del Paese ai socialisti e ai conservatori?

 

Certo di un partito siffatto i leader vorrebbero essere molti. I maligni dicono che un ruolo del genere non dispiacerebbe a Laura Boldrini e che per questo avrebbe attaccato a testa bassa il presidente del Consiglio, forzando i limiti che il ruolo di presidente della Camera le imporrebbe. Si tira fuori invece da questa competizione Nichi Vendola. Il governatore della Puglia, da politico accorto qual è, ha capito di aver fatto il suo tempo e che è giunto il momento di lasciare il passo ad altri.

 

Ma chi del Pd entrerebbe in un partito siffatto? Pippo Civati quasi sicuramente, perché è impossibile che rimanga lì dove sta. Non se ne vedrebbe il motivo, visto che non è d'accordo con il suo partito il 99 per cento delle volte. Dicono che anche Stefano Fassina, in odio a Renzi, potrebbe compiere un passo del genere, ma lui smentisce. E lo stesso si sussurra su Alfredo D'Attorre, il quale, al pari di Fassina, nega con grande determinazione. Ma la verità è che chi del Partito democratico  si deciderà a compiere questo passo, sempre che questa versione italica di Podemos veda mai la luce, lo si capirà molto più in là. Cioè quando i dissidenti del Pd, i nemici interni di Renzi, tanto per intendersi, avranno compreso se riverranno messi in lista o meno. Solo allora vi potrà essere una micro-scissione degli esodati del Partito democratico.