Combattenti curdi in Iraq (foto LaPresse)

I nostri "boots on the ground" in gabbia

Redazione

I curdi iracheni sono oggi l’esercito dell’occidente – così come combatterono contro Saddam durante la liberazione dell’Iraq – ed è dalla loro determinazione che dipende buona parte dell’esito della guerra sul campo. Se i peshmerga non rinunciano a combattere, dice lo Stato islamico, i prigionieri saranno uccisi.

Sfilano chiusi nelle gabbie, i combattenti curdi catturati dallo Stato islamico con le tute arancioni, sono obbligati a tenere gli occhi bassi, per contenere tra le sbarre la loro fierezza, che è la forza dei peshmerga, e anche la nostra, visto che questi soldati sono i nostri “boots on the ground” nella lotta al jihad. Se i peshmerga non rinunciano a combattere, dice lo Stato islamico, i prigionieri saranno uccisi, secondo quel format dell’orrore che alterna gabbie a uccisioni di massa, e che in quest’occasione le mette insieme. I curdi iracheni sono oggi l’esercito dell’occidente – così come combatterono contro Saddam durante la liberazione dell’Iraq – ed è dalla loro determinazione che dipende buona parte dell’esito della guerra sul campo.

 

Questi prigionieri sono stati catturati a fine gennaio, quando lo Stato islamico assalì Kirkuk, la città che i peshmerga difendono con la forza, perché è un hub petrolifero strategico e perché è lì che si alimenta la tenuta del Kurdistan iracheno: era sempre stata contesa con Baghdad, ma nel giugno scorso è stata abbandonata dall’esercito iracheno. Da queste terre parte l’offensiva per la grande battaglia per la ripresa di Mosul, ora nelle mani dello Stato islamico. I peshmerga hanno raccontato al Guardian che l’offensiva a Mosul non sarà gestita da loro in solitaria, non hanno i mezzi necessari (molte delle armi promesse, soprattutto dalla Gran Bretagna, non sono arrivate) e soprattutto devono sopravvivere nel buco strategico che aleggia su tutta la campagna contro lo Stato islamico. L’America non sa nemmeno definirla una guerra contro il fondamentalismo islamico, prepara 25 mila uomini a Mosul, 12 brigate irachene di cui tre di peshmerga, mentre i curdi sono accusati di voler soltanto ottenere, con questa battaglia, la loro indipendenza. Ma oltre ai prigionieri in gabbia, ci sono stati almeno mille morti tra i peshmerga iracheni, che spesso, anche quando portano cibo, vengono trattati con ostilità. Stiamo ridisegnando i confini del Kurdistan con il nostro stesso sangue, dice il presidente Masoud Barzani, ma vogliamo quel che volete voi: la libertà.

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