Margaret Thatcher

I Tory inglesi all'assalto della chiesa anglicana che sbeffeggia la Thatcher

Matteo Matzuzzi

I vescovi britannici la buttano in politica su consumismo e diseguaglianza. La replica: pensate ai (pochi) fedeli.

Roma. L’hanno chiamata “lettera pastorale”, ma a scorrere le cinquantadue pagine rese pubbliche dalla chiesa anglicana d’Inghilterra a tre mesi dalle elezioni per il rinnovo della Camera dei Comuni, pare di leggere un documento uscito dalla segreteria di qualche vecchio partito socialista dell’est europeo. Si parla di tutto il meglio che l’attualità possa offrire: dagli armamenti nucleari al destino del continente, dall’interventismo militare all’immigrazione – l’Ukip di Nigel Farage viene liquidato come una formazione “dal brutto sottofondo razzista” che contrasta con l’insegnamento cristiano. Parlano perfino di riforma elettorale, facendo intendere che la loro predilizione sia per il proporzionale che consentirebbe una più ampia rappresentatività dei desiderata popolari.

 

Filo conduttore della “lettera” è la messa all’indice di tutto ciò che anche lontanamente sia collegabile alla stagione di Margaret Thatcher, da cui dipenderebbe ogni male dilagante in questo mondo. E pazienza se la figlia del droghiere di Grantham sia uscita da Downing Street un quarto di secolo fa e sia morta da quasi due anni. Le idee della Lady di ferro, scrivono i prelati anglicani, hanno “frammentato la società e radicalizzato l’ineguaglianza tra ricchi e poveri”. Da qui l’esortazione ai cristiani affinché “resistano” al potere del grande business e diano tutto il loro sostegno al “rafforzamento della posizione della Gran Bretagna in Europa”, opponendosi alle sempre più frequenti spinte affinché l’isola se ne vada per conto suo voltando le spalle a Bruxelles. I vescovi ribadiscono, ogni tre quattro paragrafi, che il loro obiettivo non è quello di buttarsi nella mischia politica, che l’intento è nobile e che bisogna superare i consueti schieramenti destra versus sinistra. Poi, però, parte l’attacco al consumismo, la cui responsabilità naturalmente è delle politiche di Margaret Thatcher: “La sua rivoluzione del mercato ha enfatizzato l’individualismo, il consumismo e l’importanza delle imprese così che, lungi dal tornare alle nozioni vittoriane della responsabilità sociale, il paradigma per tutte le relazioni è divenuto l’individualismo competitivo, il consumo e il contratto commerciale, frammentando la solidarietà sociale a più livelli”. Il capitalismo, male supremo e assoluto, “distribuisce sì ricchezza, ma tende a consolidare le diseguaglianze”.

 

Ecco perché la chiesa d’Inghilterra invoca “una nuova visione nella quale né lo stato né il mercato possano accumulare potere che divida il popolo e sconfigga la speranza”. “Mi pare che sia il classico caso in cui uno dice ‘se tu non riesci a fare il tuo lavoro, di’ a qualcun altro come deve fare il suo’”, ha detto al Telegraph Lord Norman Tebbit, pari del Regno, critico feroce di Maastricht, già presidente del Partito conservatore e ministro del Lavoro e dell’Industria all’alba della rivoluzione thatcheriana nei primi anni Ottanta. “Se la chiesa stesse espandendo la sua forza e i banchi degli edifici di culto fossero ogni settimana che passa sempre più pieni, penso che tenderei ad ascoltare con più attenzione quello che dicono i vescovi”, ha aggiunto Tebbit. Al premier David Cameron, conservatore e in qualche modo erede della stagione plasmata dalla baronessa scomparsa nel 2013, non è andata giù la richiesta dei prelati di investire di più sul welfare state: “Io preferisco parlare dei posti di lavoro creati. Un sistema assistenziale che paga la gente per non fare nulla quando potrebbe lavorare non è di certo il segnale di un’economia forte, né di una società in salute”.

 

[**Video_box_2**]Quanto alla Thatcher, il suo decennio fu fondamentale – a giudizio del premier in carica e in cerca di riconferma – nel creare “un’economia con una crescita genuina, posti di lavoro reali e reale sicurezza”. Curioso che la chiesa d’Inghilterra, impegnata nell’ultimo biennio a organizzare sinodi per l’ordinazione episcopale delle donne e a contare quanti fedeli passano al cattolicesimo apostolico e romano, entri a piè pari nell’agone politico pre-elettorale e taccia sulle questioni sensibili che la riguardano. “La chiesa sta zitta sulle questioni riguardo le quali la gente cerca la sua guida”, ha commentato la deputata Nadine Dorries. Divertito, invece, s’è detto l’ex leader dei Tory Iain Duncan Smith, oggi ministro del Lavoro e delle pensioni, erede proprio del seggio che ai Comuni fu di Tebbit: “E’ paradossale che nonostante la pretesa di non essere di parte, la chiesa d’Inghilterra produce questi rapporti solo quando i conservatori sono al governo. Chiedo semplicemente dove fossero i vescovi quando con il precedente governo s’è schiantata l’economia, la diseguaglianza nel reddito è aumentata a livelli record e i debiti sulle spalle dei nostri figli si stavano accumulando”. L’arcivescovo e primate di Canterbury, Justin Welby, ha assistito in disparte alla polemica, limitandosi a fare un retweet a un link che condannava la reazione al documento pastorale della chiesa anglicana. Dal 17 febbraio non ha fatto più sentire la sua voce sul tema.

Di più su questi argomenti:
  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.