Il partito della spallata alla Grecia

Marco Valerio Lo Prete

“E’ ora di una lezione”. Il sogno segreto di falchi tedeschi e antimerkeliani. Auerback (Inet): se Atene esce dall’euro, pure Roma e Parigi saranno tentate.

Roma. Il vertice europeo che si è concluso ieri, con la crisi greca in cima all’agenda dei lavori, è stato “poco utile”, ha ammesso ieri Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia italiano che pure negli scorsi giorni aveva detto di essere animato dall’“ottimismo della volontà”. Non è stato raggiunto nessun accordo sull’estensione dell’attuale programma di assistenza finanziaria al paese, le cui condizioni sono giudicate come vessatorie dal nuovo governo di Atene, né tantomeno c’è un’intesa su un diverso programma pro futuro. “Il dialogo continua in modo costruttivo”, ha aggiunto Padoan, anticipando voci serali su una possibile svolta positiva (che per Bloomberg potrebbe arrivare già oggi). Nel frattempo il presidente del Consiglio greco, Alexis Tsipras, ribadiva che il suo paese “non accetta condizioni e ultimatum”. Poi attaccava il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, accusato di aver “perso le staffe”: “Non possiamo essere trattati come una colonia o come un paria in Europa”. La Grexit, cioè l’uscita del piccolo paese dalla moneta unica, ufficialmente non è comunque sul tavolo. Tuttavia, pure in queste ultime ore di trattativa, l’ipotesi più estrema continua ad avere i suoi fan, sia tra i falchi dell’ortodossia rigorista, sia tra quanti credono di poter scalfire alcune certezze merkeliane.

 

Fra i primi, seppure con sfumature originali, figura per esempio Hans-Werner Sinn, a capo del think tank tedesco Ifo. Sostenitore dell’uscita della Grecia dalla moneta unica – “l’unica via d’uscita da una valle di lacrime”, ha detto enfaticamente in un’intervista al quotidiano ellenico Kathimerini – ieri Sinn ha avanzato una proposta intermedia sul Financial Times. In estrema sintesi: attorno al paese va esteso un cordone sanitario che non consenta ai capitali di fuoriuscire, sul modello di quanto accaduto a Cipro nel 2013. Soltanto così si metterebbe fine alla fuga di depositi e capitali greci che crea squilibri nell’Eurozona e fa esporre le altre Banche centrali (Bundesbank inclusa) sul paese. Sinn ragiona sugli squilibri del Target 2, cioè il sistema di compensazione dei pagamenti tra le banche commerciali e le rispettive Banche centrali dell’Eurozona. Poi aggiunge: la Banca centrale europea, sempre per compensare la fuga dai depositi greci, sta garantendo alla Banca centrale del paese più liquidità d’emergenza per gli istituti privati (65 miliardi attraverso la cosiddetta Ela) di quanta ne sarebbe dovuta se si considerassero solo la quota di circolante spettante al paese (38 miliardi) e la quota nel capitale della Bce (4 miliardi). Le obiezioni non mancherebbero – a partire dal fatto che l’eventuale mancata restituzione dell’Ela peserebbe su Banca centrale e Tesoro ellenici, non sulla Bce – ma il punto è anche politico. Bisogna dare una lezione ad Atene: “Alla Banca centrale greca non deve essere consentito di vivere al di sopra dei propri mezzi”.

 

Inviare un segnale di fermezza alla Banca centrale greca sarebbe il primo passo nella giusta direzione, non soltanto per tutelare il contribuente tedesco. Sinn infatti è convinto che Atene dovrebbe uscire dall’euro per poter svalutare la moneta nazionale e sviluppare il settore agricolo; a quel punto gli euro depositati all’estero rientrerebbero nel paese per approfittare del cambio favorevole e, nel medio periodo, fornirebbero nuova linfa a costruzioni e industria. Il punto di vista di Sinn è radicale: per lui la moneta unica può continuare a esistere soltanto se si accetteranno forme di mutualizzazione dei debiti, con annesse perdite per i creditori troppo spericolati (pure tedeschi, dice). Un discorso da avviare soltanto con la Grecia fuori dalla moneta unica, cioè con un euro più omogeneo. Anche i fautori dell’ortodossia che non celano i loro intenti punitivi verso Atene, tra l’altro, sono convinti che un’uscita dall’euro funzionerebbe da utile “lezione” per tutti gli altri. Infatti il caos interno al paese che ne seguirebbe – tra collasso politico e ripresa stentata, altro che lo scenario idilliaco di Sinn – funzionerebbe come un utile monito agli altri paesi: chi non si rimette in carreggiata finisce male.

 

[**Video_box_2**]D’altra parte non mancano gli analisti, come l’editorialista tedesco del Financial Times Wolfgang Münchau, che sostengono l’opposto: l’uscita dalla moneta unica conviene ad Atene e può finalmente arginare le “politiche fallite” dettate finora da Berlino all’interno dell’Eurozona. La “lezione greca” sarebbe dunque di tutt’altro tipo. E’ la posizione di Marshall Auerback, oltre 20 anni di esperienza nell’investment management alle spalle, oggi dirigente dell’Institute for New Economic Thinking (Inet): “Münchau ha ragione, non sono sicuro che Atene a questo punto possa evitare di uscire dalla moneta unica, a meno di un soccorso straordinario da parte di altri paesi dell’Eurozona”, dice al Foglio. Il dirigente dell’Inet, think tank fortemente voluto dal finanziere George Soros per contestare le teorie mainstream del dibattito economico, dice che “la Germania potrebbe accorgersi troppo tardi che una ‘Grexit’ è in grado di dare libero sfogo a una serie di sommovimenti politici che minerebbero il dominio tedesco e le politiche di austerity a esso legate. Berlino sottostima gli effetti di una possibile Grexit”. Auerback è addirittura critico della posizione assunta finora dal governo di sinistra radicale di Atene: “Uno sconto sul debito pubblico esistente non basterebbe a rilanciare l’economia del paese. Occorre una potente spinta al reddito nazionale che oggi può essere fornita soltanto dal settore pubblico”. Perciò liberarsi da tutti i vincoli della governance dell’Eurozona è l’unica soluzione: “Ci sarebbe un po’ di caos all’inizio, ma è difficile che possa andare peggio di come va oggi”. Poi, complice la svalutazione, “seguirebbe un boom turistico, in un settore che tanto pesa in quel paese”. Infine appunto la possibilità di stimolare la domanda interna: “A quel punto cosa penseranno paesi indebitati e stagnanti come Italia e Francia? Difficile che le opinioni pubbliche possano accettare una svalutazione interna di entità simile a quella inflitta dalla Troika alla Grecia. Sarebbero spinti inesorabilmente sul sentiero della libertà”, conclude Auerback. Sottinteso: libertà dal giogo dell’austerity tedesca. Un altro modo di vedere la “lezione greca”.

Di più su questi argomenti: