Militari ucraini a Debaltseve, nell'Ucraina orientale (foto LaPresse)

In Ucraina il fuoco non cessa

Un ex comandante Nato ci spiega perché senza l’impegno militare di Obama trattare con Putin è inutile.

New York. Dall’inizio del cessate il fuoco concordato a Minsk la settimana scorsa l’esercito ucraino ha contato almeno 112 attacchi alle sue installazioni militari, con cinque morti e 25 feriti, “non proprio i segni di una tregua”, ha detto ieri il portavoce delle Forze armate di Kiev, spiegando che di spostare l’artiglieria pesante, al momento, non se ne parla. L’accordo “fragile e senza garanzie”, come lo ha definito il principale broker occidentale, Angela Merkel, ha fatto la fine del suo predecessore, e i bombardamenti senza soluzione di continuità a Debaltsevo e in altri punti del fronte rafforzano la posizione di chi, negli Stati Uniti, vuole rifornire l’esercito ucraino di armi pesanti per riportare Vladimir Putin al tavolo delle trattative in posizione di debolezza. L’ammiraglio James Stavridis, comandante delle forze Nato fino al 2013 ed esponente dell’esclusivo club dei militari intellettuali, è uno dei più vocianti sostenitori dell’invio di armi. Assieme a un team di esperti militari ha firmato il documento più convincente sulla necessità di Washington di intervenire per modificare la dinamica del conflitto e già poche ore dopo la firma dell’accordo di Minsk presentiva il fallimento diplomatico: “Tutti i fattori dicono che la tregua non reggerà”. E in effetti. Stavridis, oggi decano della scuola di legge e diplomazia alla Tufts University, spiega al Foglio le ragioni per cui è “vitale” il sostegno militare di Kiev da parte dell’America: “Innanzitutto ci sono i precedenti storici: l’occidente non dovrebbe mai dimenticare cosa succede quando si pratica l’appeasement. Poi occorre rassicurare gli alleati della Nato. L’America è più vulnerabile quando un alleato si sente minacciato. La terza ragione riguarda i nostri valori, dobbiamo difendere il diritto dell’Ucraina di decidere del proprio futuro”.

 

“Infine – continua Stavridis – armare l’Ucraina è vitale perché è l’unico strumento persuasivo che abbiamo nei confronti di Putin. Funzionerà? Forse. Di certo ha più possibilità di successo degli altri strumenti”, e il riferimento è alle sanzioni (anche ieri l’Unione europea ha diramato una nuova lista di soggetti colpiti) che non hanno finora indotto alcun “ricalcolo” nella testa di Putin. La tesi dell’ammiraglio ha suscitato però parecchie obiezioni, anche all’interno di think tank come la Brookings Institution che ne ha promosso la pubblicazione. I critici dicono che aumentare il coefficiente militare dello scontro porterà a una escalation del conflitto, altro che ricalcolo: “Riconosco gli argomenti dei critici e ammetto che è una ‘close call’, ma qual è l’alternativa? Una soluzione diplomatica? E’ quello che desidero anche io, ma serve un incentivo per negoziare davvero, perché Putin non è interessato alla fine della guerra, ma alla creazione di conflitti freddi in regioni semi indipendenti controllati dalle sue marionette”. I politologi di scuola realista dicono anche che la causa remota di questa guerra è l’espansione della Nato a est dopo la fine della Guerra fredda, idea che Stavridis giudica “ridicola”: “Mi dicano uno stato che la Nato ha obbligato a entrare nel patto. Tutti i membri lo hanno scelto, nessuno li ha costretti. Cosa dovrebbe fare la Nato, dire ‘no, non vi facciamo entrare per non offendere la Russia’? Non scherziamo. Abbiamo molti esempi nel passato di espansione dell’influenza con la minaccia delle armi, penso all’Ungheria e alla Cecoslovacchia, ma la Nato non c’entra nulla. E’ un classico esempio di una mentalità che scarica le colpe sulle vittime. Questa crisi ha un solo responsabile, Putin”.

 

[**Video_box_2**]Nel documento cofirmato da Stavridis c’è anche un passaggio, piuttosto trascurato, sulla necessità di armare l’Ucraina per salvaguardare “la credibilità americana nel futuro”, anche rispetto ad altre nazioni ostili, vedi l’Iran: “C’è un problema nella leadership americana, la quale dovrebbe assicurare la stabilità del ponte transatlantico, e per farlo deve concepire l’Ucraina come una zona d’interesse strategico fondamentale. E lo è in virtù delle alleanze che ci definiscono”. Eppure Obama si rifiuta di fissare una “red line” per un intervento sostanziale in aiuto di Kiev. “La situazione sul campo è troppo fluida per fissare una ‘red line’ specifica – dice Stavridis – in questo concordo con l’Amministrazione; quello che serve è un cambio di strategia che porti le sorti dell’Ucraina al rango di interesse vitale per gli Stati Uniti. Le ‘red line’ a quel punto saranno molto più definite”.

Di più su questi argomenti: