Raffaele Fitto è nato a Maglie, in Puglia, il 28 agosto 1969. E’ stato presidente della regione Puglia dal 16 aprile 2000 al 4 aprile 2005

Che fai, non mi cacci?

Marianna Rizzini

Un po’ Fini. Un po’ Alfano. Mai vero delfino. Molta via Pal. Molta tendenza “no pasaran”.  Chi è Raffaele Fitto, chi c’è nella squadra e come è diventato il Barca del berlusconismo.

Oltre. E’ la parola che campeggia sul sito di Raffaele Fitto, parlamentare europeo di Forza Italia, ex ministro di centrodestra ed ex presidente della regione Puglia, al momento protagonista del terzo atto di tentato simbolico superamento politico del padre Silvio Berlusconi, dopo gli strappi dei cosiddetti (allora) “delfini” Gianfranco Fini e Angelino Alfano, anche se Fitto non è mai stato tecnicamente delfino. Piuttosto luccio, vuoi per fisiognomica vuoi per attitudine a farsi pesce d’acqua dolce tra pesci d’acqua salata, quando, poco più di un anno fa, molti ex ortodossi del Cav. (o ex Cav. che dir si voglia) si erano messi a seguire Alfano mentre lui, Fitto, restava fedele (ma vai a capire i capricci della storia: ora, a parti rovesciate, è l’ex governatore pugliese a essere chiamato “traditore”). In ogni caso Fitto, dopo aver detto che lui e i suoi non voteranno le riforme e adotteranno la linea del “no pasaran” con Matteo Renzi e con i renziani, e dopo aver citato il capostipite degli ammutinati Gianfranco Fini (“che fai, mi cacci?”, ha detto Fitto all’indirizzo di Berlusconi che gli aveva dato i quindici giorni per decidere che cosa fare: o dentro o fuori), nega in modo categorico di voler uscire dalla casa madre Forza Italia. E lo fa con la classica frase che Fitto potrebbe dire nel Pd, se invece di essere un dissidente di Forza Italia fosse un dissidente del Pd di corrente civatiana: resto qui e combatto dall’interno. Dunque sarà convention: il 21 febbraio, all’Auditorium del Massimo, a Roma, per farsi, se non rottamatori, “ricostruttori” (“di Forza Italia e del paese”, dice il sobrio sottotitolo dell’iniziativa). “Cominceremo a esporre le linee guida delle nostre proposte per l’Italia, oltre che per FI e per il centrodestra”, ha detto Fitto, lanciando lo slogan “costruiamo idee per restituire speranza al futuro dell’Italia e dell’Europa”. E siccome Roma sarà l’inizio di un viaggio su e giù per lo stivale e a zonzo per le regioni, sempre a un omologo pd viene da pensare: Fabrizio Barca, come Fitto ex ministro incaricato di occuparsi di Coesione Territoriale (Fitto era anche ministro per gli Affari Regionali). Si sa com’è finita nel Pd: l’auumm-auumm su Barca che si metteva di traverso a Matteo Renzi con il suo viaggio per un Pd che aveva bisogno “di amore” è andato avanti per mesi (“mobilitazione cognitiva”, “catoblepismo”, “sperimentalismo democratico” i cavalli di battaglia lessicali del manifesto-Barca), ma alla fine, complice l’iscrizione di Barca alla sezione Pd di via dei Giubbonari e la perdita di mordente dell’iniziativa a ridosso delle primarie, il tour dell’ex ministro s’era fatto via via sempre più ricognitivo che offensivo, tanto più che il tormentone di Barca era “io voglio solo dare una mano”.

 

Si sa com’è finita nel Pd, dunque, e non si sa come finirà in Forza Italia. E però la convention dei ricostruttori, con viaggio per l’Italia in appendice, dopo lo scontro a distanza di Fitto col fondatore B., è stato letto come punto di partenza di una nuova epocale disfida (ci si mette pure l’interpretazione caratteriale: “Fitto è un permaloso”, dicono i cronisti esperti, e pare non abbia mai dimenticato la frase detta un giorno dall’allora Cavaliere: “Sei figlio della vecchia Dc, se vuoi puoi andare via”). Eppure disfida non sembra nelle parole del deputato e spin doctor di Fitto Daniele Capezzone, ex Radicale che ha definito l’imminente convention dei ricostruttori “opportunità positiva” e “grande occasione” in cui “qualcuno si farà carico di offrire in modo strutturato a Forza Italia, all’Italia e al centrodestra idee, contenuti, programmi (in una parola, un nuovo ‘software’) per sfidare Renzi”. E insomma Capezzone, attivissimo sul web alla stregua di un @nomfup, il twitteriano portavoce di Renzi, dal web dirama il programma prossimo venturo (“occorre riprendere la bandiera del cambiamento, dell’innovazione, e offrire agli italiani una nuova proposta che parli ai delusi e agli astenuti dell’attuale centrodestra…”), con toni da catarsi: “Dopo aver giustamente indicato con un anno di anticipo a FI e al centrodestra che era sbagliato accodarsi al treno renziano, ora Raffaele Fitto e tutti noi ci assumiamo la responsabilità di guardare ancora avanti, indicando quello che – a nostro parere – è il percorso da seguire per tornare credibili e competitivi”. Il punto, al di là della costruzione & ricostruzione, resta quello su cui Fitto batte fin dall’ottobre 2013, quando, intervistato dal Corriere della Sera, chiedeva “l’azzeramento di tutti gli incarichi di partito” e la “convocazione di un congresso straordinario”. “E’ la sfida ad Alfano”, dissero coloro che volevano chiamarsi, allora, “lealisti” (con B.), sfida però non “finalizzata ad ottenere qualche incarico”, altra tipica frase delle rivolte tentate al grido di “non lo fo per piacer mio”. Oggi Fitto dice che, anche volendo, nessuno potrebbe cacciarlo da Forza Italia, perché non “esistono i meccanismi tecnico-statutari per far sì che questo avvenga”, e che, non avendo celebrato congressi negli ultimi dieci anni, il partito non può andare avanti “con i nominati dall’alto” (Fitto è un pasdaran delle primarie).

 

[**Video_box_2**]Poi si scopre che “oltre”, la parola che campeggia sul sito dell’ex governatore-ragazzino della Puglia (fu eletto trentunenne nel 2000, per poi essere sconfitto da Nichi Vendola), significa “oltre questa Europa”, come spiegano gli esperti di fittologia. Solo che ormai l’interpretazione complottista ha già visto in quell’“oltre” il segnale preventivo in codice dell’atto d’insubordinazione attuale: “Oltre” il Cav. (o ex Cav. che dir si voglia). E’ successo infatti che il quarantacinquenne Fitto, non da oggi ma neppure da tantissimo tempo, abbia deciso di mettersi alla testa di un manipolo di parlamentari che vogliono dire “no” alle riforme e “no” all’appeasement con Renzi (ultima risposta del capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta: caro Fitto sei “rimasto indietro”, Forza Italia lo sta già facendo). Ed è successo che il centrodestra, dopo i giorni tormentati dell’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, e dopo gli sconquassi diurni e notturni (in Aula) attorno al morto-non morto patto del Nazareno, si è trovato con un altro “ribelle-non ribelle” dopo Alfano (ex diccì come Alfano, nonostante la nomea di “anti Alfano” per antonomasia). E, per capire fino a che punto Fitto voglia arrivare, gli esegeti di sommovimenti alle pendici del Castello berlusconiano hanno cominciato a scandagliare il carattere dell’uomo, con flashback sul Fitto-ragazzo, quasi quasi protagonista di una “gioventù bruciata” nel Salento anni Ottanta: ecco il Fitto adolescente che va in moto impennando la ruota; ecco il Fitto diciassettenne che, da “pariolino” delle Puglie, va in discoteca e fa le ore piccole e a scuola risponde male ai professori e studia poco e si fa rimandare in matematica. Ecco il Fitto mezzo-scapestrato (difficile oggi crederci, guardando la perfetta scriminatura dell’ex ministro – praticamente una calotta di capelli da pupazzetto Playmobil) che a tutto pensa tranne che alla politica, come scrive lui stesso nel suo autoritratto on line (“non è vero che sono cresciuto a pane e politica. Ho avuto un’infanzia e un’adolescenza simili a quelle di tantissimi altri ragazzi . La scuola, il calcio, la motocicletta, gli amici, le ragazze, il paese, i viaggi…”). Sono, quelli descritti da Fitto medesimo, i giorni spensierati in cui sentirsi (se ci si riesce) invincibili. Ogni sera scorribande per locali, e chilometri in sella alla suddetta moto (Fitto è di Maglie, centro della penisola salentina, come sa chiunque si trovi a dover guidare di notte per quei luoghi: che si vada a Otranto a Gallipoli o a Leuca, il viandante privo di senso dell’orientamento e tom-tom si imbatterà puntualmente in Maglie, faro nel buio avaro di cartelli stradali).

 

Nei giorni della motocicletta, il giovane Fitto si prepara alla lontana a un avvenire da studente di Giurisprudenza. Poi, improvvisamente, nel 1988, la morte del padre Salvatore, allora presidente della regione e istituzione della Dc locale, cambia il presente e l’idea di futuro. Raffaele ha appena compiuto diciannove anni. Da quel giorno il suo pensiero è quello che attanaglia chi perda un genitore in giovane età: non c’è più tempo, non posso perdere tempo. (Fitto scrive: “Che il mio futuro potesse essere la politica l’ho pensato solo quando lui è scomparso, quando è venuto meno un punto di riferimento per le aspirazioni di tanti pugliesi, quando si è trattato di non disperdere un immenso patrimonio di esperienza amministrativa e di relazioni umane e politiche”). Sotto la guida della madre Leda, che da conoscitrice della politica locale lo indirizza tra insidie e congiure da antico Senato romano, Raffaele Fitto percorre tutto il cursus della carriera politica pugliese, nelle vesti di giovane democristiano prima della tempesta. Che poi arriva, sotto forma di Tangentopoli. Il futuro governatore e ministro entra nel Partito popolare italiano, area Buttiglione, seguendo poi Buttiglione (Cdu), con percorso di avvicinamente progressivo a Silvio Berlusconi, fino alla prima elezione al Parlamento europeo, nel 1999. E’ l’inizio dell’ascesa vera. In Salento, complice la comune provenienza pugliese dei due protagonisti della storia, Fitto viene considerato a lungo nelle mire di Massimo D’Alema, nell’ottica di un trasbordo al centrosinistra (corteggiamento fallito, diranno poi entrambi, scherzandoci sopra, ma la suggestione di una intesa cordiale Fitto-D’Alema giungerà, giù giù lungo il primo decennio del Duemila, fino ai giorni nostri: “Si mettono d’accordo in chiave anti Renzi”, è stata infatti la voce ricorrente dell’autunno 2014).

 

Dopo la notte in cui tutto cambiò, in quell’agosto del 1988, il Fitto “pariolino” del Salento diventa Fitto istituzionale che, ventenne, deve barcamenarsi in ambienti polverosi: “I miei anni li ho vissuti in maniera diversa dai miei coetanei”, ha detto a Repubblica edizione Bari nel febbraio del 2001, raccontando di aver a lungo rimpianto il periodo universitario non vissuto ma immaginato come bengodi di spensieratezza: “La mia non è certo la vita di un ragazzo normale”, diceva. “E’ fatta di sacrifici, limiti, stress, problemi e fine settimana passati a lavorare. Le responsabilità gravano in modo visibile su di me. Ma è la vita che ho scelto di fare e non mi va stretta…Non nascondo che è difficile”. Sua moglie Adriana, bellezza leccese, Fitto non la incontra subito. Poi Adriana appare, vestita di rosso, sul cammino del ragazzo “senza giovinezza”, ancora nostalgico del viaggio in camper fatto con gli amici in California, a diciotto anni, a margine di una vacanza studio (unica incombenza: telefonare in collect call ai genitori, nell’epoca in cui i telefonini non esistevano). La signora Leda, intervistata dal Quotidiano di Lecce quando ormai il figlio è governatore, dirà che Raffaele “ha pagato caro il prezzo del successo”. Con il salto sul trono regionale, infatti, per Fitto, ex ragazzotto diccì abituato a scontri da via Pal con i “comunisti”, arriva sì il momento della notorietà (dell’impaccio iniziale nel viverla resta una vaga traccia nel Fitto che si guarda intorno impaziente durante i talk-show), ma arrivano anche gli episodi spiacevoli: la sua macchina presa a sassate, una sera, nei pressi di Terlizzi, regno vendoliano, e le inchieste su presunti illeciti che lo vedono in parte assolto in parte condannato. Nessuno allora intravede in lui il profilo dell’aspirante rottamatore (o ricostruttore, come dice lo “spin” Capezzone). Ma adesso c’è chi, tra i non fittiani, ripensa con sospetto (ex post) a quel workshop economico che Fitto officiò in un giorno del novembre 2014, “per denunciare la gabbia dell’austerità e superare gli attuali vincoli Ue, dal tetto del 3 per cento al Fiscal compact”. Ed ecco la parola magica: “Oltre” (per la precisione: “Oltre questa Europa. Sì al sogno europeo, no alla gabbia dell’austerità. Verso un nuovo Trattato?”). E poi ancora, a fine novembre, Fitto si era presentato al Tempio di Adriano con un’iniziativa dal titolo minaccioso (“Per l’alternativa”), a volerla leggere in controluce e al di là dello slogan “contro le tasse del governo Renzi”. E pareva la nemesi per la Forza Italia che un tempo, in versione Pdl nascente, aveva tra le colonne del Tempio celebrato i suoi fasti (fine 2007-inizio 2008).

 

Non essendosene andato da Forza Italia (non ancora, ma forse mai), Fitto non può recitare la parte alfaniana del figliolo-non del tutto prodigo che prodigo vorrebbe essere, e dunque, all’ultimatum di B. (quindici giorni: dentro o fuori), ha risposto con una lettera aperta ora interpretata psicanaliticamente dagli osservatori: “Caro presidente, meglio esserti antipatico e non abile nello sport dell’ossequio a corte, ma utile e sincero. Te lo dico con amarezza: stai ancora una volta sbagliando tutto” (che sia vera battaglia o vero bluff, l’importante è partecipare).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.