Se cade la Libia. Lo Stato islamico è quasi da noi

Redazione

Da venerdì Sirte, la seconda città del Paese, al centro del grande golfo che abbraccia Cirenaica e Tripolitania, è in mano a miliziani libici legati all’Is. Quattro anni dopo la fine di Gheddafi Tripoli è nel caos. Lo Stato islamico avanza. L’Italia è pronta a difendersi con le armi?

Succede che in Libia la situazione sta precipitando. Da venerdì Sirte, la seconda città del Paese, al centro del grande golfo che abbraccia Cirenaica e Tripolitania, è in mano a miliziani libici legati all’Isis. Da allora le radio e la tv trasmettono canti jihadisti, versetti del Corano e discorsi di Abu Muhammad al Adnani, portavoce dell’Isis.

Alessandra Arachi, Corriere della Sera

 

L’avanzata degli jihadisti libici alleati dello Stato islamico è stata più rapida di quanto i governi europei pensassero. E ora l’Europa rischia di trovarsi con l’incubo della bandiera nera dell’Isis alle sue porte, separata da un braccio di mare.

Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore

 

Francesco Battistini: «In due settimane i miliziani del Califfato, presi il pozzo d’oro nero di Mabruk e il villaggio di An Nawfaliyah, hanno marciato 60 km senza praticamente incontrare resistenza. Si sono impadroniti di radio e tv, spinti verso la Tunisia. Già lanciano volantini alle folle perché prevengano il vizio e pongono ultimatum ai Fratelli musulmani di Alba libica, che governano Tripoli, perché si ritirino senza sparare. Ma è possibile che bastino trentacinque blindati e un centinaio d’armati, per arrivare a uno degli scali petroliferi più importanti del Nord Africa?».

Francesco Battistini, Corriere della Sera

 

Dopo Derna, Sirte è la seconda città libica a finire sotto il controllo dell’Isis. Ma l’influenza del Califfato si estende ormai a Bengasi, sino a poco tempo fa regno incontrastato della qaedista Ansar al Sharia. Ora, sotto la spinta simbolica del Califfato, molti dei seguaci di Ansar cominciano a affluire tra i ranghi dell’Is. Un processo analogo a quanto accaduto in Siria, con il progressivo svuotamento di al Nusra a favore dell’Isis.

Renzo Guolo, la Repubblica

 

Domani, 17 febbraio, è l’anniversario della rivolta di Bengasi che portò alla caduta di Gheddafi. Quattro anni dopo non esistono più uno Stato e un governo centrali e nel caos ora imperversano i jihadisti del Califfato. A Tripoli l’ultima ambasciata occidentale aperta è quella italiana che invita i connazionali ad andarsene. Lo staff dorme nei locali della legazione, a poche centinaia di metri dove gli islamisti nella notte hanno distrutto le ultime due moschee sufi, mandando un altro messaggio di intolleranza ed estremismo.

Alberto Negri, Il Sole 24 Ore

 

La Libia è spaccata in due. Dallo scorso agosto una coalizione di milizie islamiche, al Fajar, ha conquistato Tripoli, creando un Governo ombra che compete con quello esiliato a Tobruk, ai confini con l’Egitto, laico e riconosciuto dalla Comunità internazionale. Due sono dunque i governi, due i parlamenti e perfino due ministri del petrolio, che pretendono di essere i solo rappresentanti di un settore tanto strategico quanto in difficoltà.

Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore.

 

«Il governo di Tobruk pensa di vincere la partita con i mezzi militari e per questo conta sull’appoggio dell’Egitto, di Mosca e degli Emirati. I turchi e i qatarini invece aspettano solo un cenno degl’islamisti. Gli ordini di evacuazione, i ponti aerei somigliano a un’ultima chiamata: fuori i secondi, adesso si mena».

Francesco Battistini, Corriere della Sera

 

Il problema poi è che non solo la Libia è contesa da due governi, ma queste fazioni sono divise al loro interno e si servono dei jihadisti dell’Isis o delle bande criminali per farsi la guerra.

Alberto Negri, Il Sole 24 Ore

 

La situazione del Paese è vicina al collasso. La corrente elettrica funziona poche ore al giorno, il telefono va a singhiozzo, manca la farina e il governo di Tripoli deve attingere alle riserve strategiche. Non si pagano le pensioni, non si fanno prelievi bancari, e le milizie islamiche devastano i negozi aperti durante la preghiera o incendiano i saloni di bellezza

Alberto Negri, Il Sole 24 Ore.

 

Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni venerdì aveva fatto sapere: «Se non si trova una mediazione in Libia bisogna pensare, con le Nazioni Unite, di fare qualcosa. In un quadro di legalità internazionale, l’Italia è pronta a combattere».

Alessandra Arachi, Corriere della Sera

 

E che la situazione sia precipitata lo dimostra anche la decisione dell’Egitto di far evacuare i propri cittadini. Renzo Guolo: «Le immagini da cronaca di una morte annunciata pubblicate sulla rivista Dabiq, con gli incapucciati in nero che fanno sfilare sulla spiaggia di Sirte i ventuno cristiani copti rapiti nei mesi scorsi, definiti come da copione “crociati”, fanno capire che ormai anche l’Egitto è un bersaglio dell’Isis. Anzi, un doppio nemico, politico e religioso. Perché il Cairo appoggia e fornisce supporto logistico e aereo alle milizie di al Hattar, il generale che vuole fare piazza pulita di ogni gruppo islamista in Libia; perché al Sisi, nemico giurato degli jihadisti in riva al Nilo, vede nei copti un pilastro della sua diga antislamista».

Renzo Guolo, la Repubblica

 

Era dai tempi dei Balcani che l’Italia non affrontava una crisi così vicina. Col carico aggiunto, stavolta, dei nostri interessi energetici. E di contratti da centinaia di milioni. E di barconi di migranti che al 90 per cento arrivano proprio dalle coste libiche.

Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore.

 

In questo quadro la conquista di Sirte da parte dei miliziani del Califfato è un episodio molto grave per diverse ragioni. Sirte, città di 140mila abitanti di fronte alle coste greche e italiane, era la roccaforte e la città natale di Muammar Gheddafi. La sua conquista ha dunque un valore simbolico. Ma è soprattutto un importante centro portuale a 450 km da Tripoli, che si affaccia sul golfo della Sirte, dove si trova la maggior parte dei giacimenti petroliferi offshore del Paese e che funge da collegamento con i pozzi dell’interno.

Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore

 

Alberto Negri: «Un tempo la Libia era una cassaforte dell’energia, soprattutto per l’Italia cui è legata anche dal gasdotto Green Stream, ma a causa degli scontri tra le fazioni la produzione libica petrolifera è scesa a circa 350 mila barili al giorno, un calo drastico rispetto al tetto di 1,6 milioni di barili prodotti durante il regime del Colonnello».

Alberto Negri, Il Sole 24 Ore

 

In più c’è da considerare che su 170mila clandestini arrivati in Italia nel 2014, 142 mila sono transitati per la Libia. «Il 10 per cento del Pil di quel Paese», spiegano alla Farnesina, «arriva proprio dalla tratta di essere umani».

Guido Gentili, Il Messaggero

 

Ma la minaccia militare per noi italiani è davvero reale? Battistini: «Un semplice Scud e colpiamo Roma, fanno gli sbruffoni su Twitter: l’arsenale del vicecaliffo di Derna non ha ancora questa potenza, Ragusa è pur sempre a oltre 400 km ma le minacce non sono solo simboliche. Ad allarmare è stato il sequestro il 6 gennaio del medico siciliano Scaravilli – l’ha ricordato Mattarella il giorno dell’insediamento, ma soprattutto l’assalto all’hotel Corinthia di Tripoli, lo stesso dove fu preso Ali Zeidan e dove alloggiano gli stranieri: nella capitale esplodono autobombe e Alba libica con le milizie di Misurata, questo il messaggio raccolto dalla Farnesina, non sembra più garantire la sicurezza d’un solo angolo di Tripolitania» Francesco Battistini, Corriere della Sera.
Scrive Fabio Martini che «per capire come stiano veramente le cose in Libia, le cancellerie di tutto il mondo sanno che bisogna chiedere anzitutto agli italiani, unici occidentali con un’ambasciata ancora aperta e con l’Eni che riesce nel miracolo di tenere aperti i pozzi in zone sottoposte a influenze di bande contrapposte. E infatti, appena due settimane fa uomini dell’intelligence americana hanno interpellato i colleghi di Roma. A Washington sono pessimisti, pensano che la Libia sia dentro una guerra civile e che occorra attenderne l’esito, mentre l’opinione degli 007 italiani è stata meno tranchant: esistono fazioni sulle quali si può ancora puntare per provare a cucire una difficilissima pacificazione tra le parti in lotta».

Fabio Martini, La Stampa

 

Allarmata anche dalle notizie di campi di addestramento dell’Isis nei dintorni di Derna, la comunità internazionale sta profondendo ogni sforzo per arrivare a un accordo di cessate il fuoco tra i due Governi rivali e porre le basi per un governo di unità.

Vincenzo Nigro, la Repubblica

 

Paolo Valentino: «Il punto da chiarire è cosa cambi sul piano politico con l’escalation dell’Isis. Se cioè un intervento internazionale debba come si è sempre detto seguire un’intesa politica o comunque un dialogo intensificato tra le fazioni, ovvero se l’emergenza imposta dal Califfato e il pericolo che la situazione degeneri irreparabilmente non consigli invece di accelerarlo, anche per farne uno strumento di spinta all’accordo politico. Nel secondo caso, i rischi di una missione di pace sarebbero infinitamente più alti. Un altro scenario allo studio sarebbe quello di un intervento affidato a forze regionali, composto cioè da soldati di Paesi confinanti, ma sempre sotto l’egida delle Nazioni Unite».

Vincenzo Nigro, la Repubblica

 

«Se ci sarà una missione militare aspettiamoci una battaglia dura, densa di insidie e attentati. L’eco sinistro della Somalia degli anni Novanta giunge con la risacca libica dal lontano Corno d’Africa fino alle nostre sponde. Ma ora si paga quell’intervento voluto da Francia e Gran Bretagna gonfio di orgoglio e pretese velleitarie che ha lasciato l’ex Libia allo sbando».

Alberto Negri, Il Sole 24 Ore

 

 

a cura di Luca D'Ammando

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