il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

La sfida demografico-pensionistica al Renzi in stile Thatcher

Francesco Galietti

Il Jobs Act e la variabile demografica che si riflette nella spesa sanitaria e in quella previdenziale.

Con il trascorrere delle ore si avrà un’idea più chiara sull’esito dei negoziati tra Atene, Bruxelles e Francoforte. Di certo, finora, c’è che il primo ministro greco ha sì accettato di sottoporre il proprio paese a una dieta, ma ha anche preteso di seguire una ricetta diversa da quella prevista dalla Troika. Nel segno della lotta ai privilegi, nel mirino di Alexis Tsipras paiono destinate a entrare soprattutto le aristocrazie venali greche, accusate di aver sistematicamente eluso i propri obblighi tributari, e le asimmetrie che caratterizzano il tessuto socio-economico ellenico.

 

Anche in Italia la narrativa politica greca potrebbe avere un peso. Da un lato, è vero che Matteo Renzi ha prudentemente evitato di apparire troppo vicino a Tsipras in occasione della visita di quest’ultimo a Roma. Dall’altro lato, mentre le principali piazze finanziarie osservano con attenzione i rimescolamenti parlamentari della maggioranza che sostiene l’esecutivo tricolore, a Roma si attenua la componente di centrodestra e si rafforza il peso del Pd. Pertanto, anche se si verificasse una invarianza nei saldi parlamentari, l’esecutivo dovrebbe tenere maggiormente in conto l’ala sinistra del Pd, che con Tsipras ha  un certo feeling. I dossier su cui si testerà l’eventuale ripolarizzazione della maggioranza parlamentare sono di primaria importanza. Come la riforma del lavoro, dove solo la successione dei decreti attuativi del Jobs Act sancirà la “thatcherizzazione” di Renzi piuttosto che un compromesso con l’ala sindacalista del Pd. Sullo sfondo, ma nemmeno troppo, la variabile demografica che si riflette nella spesa sanitaria e in quella previdenziale. I problemi della prima sono all’origine di proposte parlamentari che prevedono la riduzione del numero di regioni e che nelle intenzioni dei proponenti potrebbe confluire nel ridisegno complessivo del Titolo V in fase di approvazione. Per quanto invece riguarda le pensioni, già oggetto di interventi in profondità, l’esecutivo si trova a pattinare sul ghiaccio sottile. Secondo uno studio di ricercatori della Banca d’Italia e dell’Università di Verona, un 43enne italiano pagherà, nel corso della sua vita, il 50 per cento in più di tasse e contributi rispetto a quanto, in tutto, sborsa chi oggi ha 61 anni. Basti considerare che l’aliquota marginale per un reddito di 30 mila euro era del 25 per cento vent’anni fa ed è del 38 per cento oggi, e che il peso dei contributi è notevolmente aumentato con il passaggio del sistema previdenziale da retributivo a quello contributivo. Nel frattempo, l’Inps ha appena approvato un disavanzo previsionale 2015 di 6,8 miliardi di euro. Anche in Francia, paese citato spesso assieme all’Italia nei report degli analisti di rischio politico, il finanziamento delle pensioni è una questione cruciale, e il Cades (organismo pensionistico pubblico) ha da poco sottoscritto un accordo che prevede emissioni di titoli di debito in valuta cinese: in soccorso dei pensionati francesi arrivano i  risparmiatori cinesi.

 

[**Video_box_2**]Asimmetrie intergenerazionali e conti pubblici da mettere in sicurezza, tuttavia, non esauriscono il quadro. Mettere mano alle pensioni, magari brandendo la clava della lotta alle “pensioni d’oro”, potrebbe infatti rivelarsi politicamente pericoloso. Nell’urna la lobby delle tempie bianche è potente e presente, tutto il contrario degli elettori più giovani. Situazione per certi versi presente anche in Inghilterra, dove il cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha appena riproposto titoli di debito particolarmente remunerativi per gli over 65 – e pazienza se i maxi interessi andranno ad appesantire le finanze britanniche – con un singolare tempismo rispetto alla prossima tornata elettorale. Ma ancora più rilevanti per Renzi sono due dati appena rilasciati dall’Istat: quello del numero medio di figli per donna, pari a 1,39, il più basso da decenni; e quello secondo cui in Italia due giovani adulti su tre, tra 18 e 35 anni, vivono a casa con i genitori – una percentuale doppia rispetto a Francia e Regno Unito. Per oltre sette milioni di italiani la pensione di papà o nonno è un ammortizzatore, senza il quale la crisi economica rischia di trasformarsi in emergenza sociale.