“Giocare ad acchiapparello in una camera a gas è… la nuda vita”

Guido Vitiello

Un tempo conquistavamo i mercati esteri con l’alta moda e la gastronomia, oggi esportiamo il neo operaismo e la biopolitica, e ditemi voi se non è anche questo un segno del declino. La cosiddetta “Italian Theory” va a ruba in mezzo mondo, specie in quello che un tempo si sarebbe detto in via di sviluppo.

Un tempo conquistavamo i mercati esteri con l’alta moda e la gastronomia, oggi esportiamo il neo operaismo e la biopolitica, e ditemi voi se non è anche questo un segno del declino. La cosiddetta “Italian Theory” che va a ruba in mezzo mondo, specie in quello che un tempo si sarebbe detto in via di sviluppo, è uno dei rari settori del made in Italy che la crisi non ha colpito e che, anzi, della crisi si è largamente avvantaggiato. Giorgio Agamben si vende meglio del parmigiano reggiano, Toni Negri va via come il prosciutto di Parma. Tutto sta a vedere quali usi si fanno, nel mondo, dei nostri prodotti filosofici tipici, che cosa si cucina con i nostri ingredienti.

 

Un caso interessante viene dall’Estonia, paese che si era già segnalato per l’import-export di un altro prodotto Dop, il giuliettochiesa stagionato. Lunedì il Centro Simon Wiesenthal ha protestato contro la mostra “My Poland: Recalling and Forgetting” inaugurata al Tartu Art Museum il 7 febbraio, dove otto artisti, per lo più polacchi, affrontano l’eredità della Seconda guerra mondiale e della Shoah con opere provocatorie e dissacranti. C’è Zbigniew Libera – già noto per aver riprodotto un campo di concentramento con i mattoncini Lego – che ricrea una foto scattata al momento della liberazione, ma dietro al filo spinato mette un gruppo di persone con sorrisi pubblicitari; ci sono due artisti estoni che compongono la parola “Holocaust” con i caratteri della scritta “Hollywood” sul Mount Lee. Ma è un’altra l’opera che ha spinto Efraim Zuroff, storico del Swc, a scrivere il suo comunicato furibondo. E’ il video “Berek” (1999) del polacco Artur Zmijewski, dove uomini e donne giocano nudi ad acchiapparello in una camera a gas. Dice Zuroff che è umorismo perverso, una parodia vergognosa del destino toccato a milioni di ebrei. La giovane curatrice, Rael Artel, inizialmente ha difeso la scelta, ma giovedì il video è stato rimosso insieme a un altro dello stesso artista. Fin qui niente di nuovo, “Berek” era già stato contestato anni fa alla Biennale di Berlino e polemiche come questa non fanno che replicare in scala molto ridotta la grande controversia del 2002 intorno alla mostra “Mirroring Evil” al Jewish Museum di New York.

 

Ma comunque la si pensi sull’acchiapparello di Zmijewski, il suo umorismo è nulla in confronto alla comicità involontaria del testo di presentazione che lo accompagna sulla brochure della mostra estone: “Il significato del video è reso chiaro allo spettatore dalla nozione di ‘nuda vita’ di Giorgio Agamben. (…) L’esistenza è ridotta al mero esser vivi, tutto il resto è perduto. L’artista traccia un parallelo tra l’industria della morte e l’acchiapparello, trasformando una camera a gas in un campo da gioco dove i corpi si sottomettono a un insieme di regole”. Dunque era un acchiapparello biopolitico ispirato a “Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita”, o forse a “Quel che resta di Auschwitz”, il libro di Agamben sui campi di concentramento che si esportò assai bene malgrado alcuni vistosi difetti di fabbrica (li rilevarono Philippe Mesnard e Claudine Kahan nel saggio polemico “Giorgio Agamben à l’épreuve d’Auschwitz”). In quel suo libro, tra le altre cose, il filosofo interpretava biopoliticamente una partitella a pallone tra SS e Sonderkommando. Di lì all’acchiapparello il passo è breve, e tutti nudi in nome di Agamben.

 

[**Video_box_2**]Una volta impacchettati e spediti, i nostri provoloni filosofici finiscono nelle preparazioni più varie secondo le ricette locali, e forse è meglio così. Certo, non credo che i bambini giocheranno mai, che so, alla mosca cieca agambeniana. Ma mi piace immaginare che già oggi nei campus americani – crocevia strategico per ammannire le nostre specialità al resto del mondo – gli studenti maliziosi non propongano più di giocare al dottore. No, si presentano con un tomo di Agamben sotto braccio e ammiccano: “Dai, giochiamo a Homo Sacer. Io faccio il potere sovrano, tu la nuda vita”. Poi, com’è tradizione, appendono una cravatta alla maniglia della porta.

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