Speranze, cinismo e populismi, ecco cosa si pensa a Mosca degli accordi di Minsk

Felix Stanevskiy

I trattati, che hanno mostrato l’autorevolezza di Putin e sono frutto del suo tiro alla fune diplomatico con Merkel, Hollande e Poroshenko, hanno generato un’ampia gamma di giudizi. La critica da parte dei liberali appare la più dura.

Mosca. Mentre mercoledì le trattative fiume a Minsk proseguivano, gli esperti di Mosca discutevano sui canali tv, seguiti a notte inoltrata da milioni di telespettatori. Gli accordi raggiunti hanno fatto scoppiare internet. I media sono pieni di commenti, e Minsk è indubbiamente il tema che eccita e ispira dibattiti, confronti e polemiche. Gli accordi, che hanno mostrato l’autorevolezza di Putin e sono frutto del suo tiro alla fune diplomatico con Merkel, Hollande e Poroshenko, generano un’ampia gamma di giudizi.
La critica da parte dei liberali appare la più dura: “Gli accordi non sono realizzabili”, sostiene Aleksey Venediktov, direttore della radio filoccidentale L’eco di Mosca. “Rinchiudono il conflitto in frigo com’è nel caso della Transistria”. Il noto blogger liberale Rustem Adagamov si dice particolarmente preoccupato per la mancata chiusura della frontiera russo-ucraina: “Queste trattative sono chiacchiere. La pace non è possibile finché la frontiera non è chiusa”. E aggiunge: “Certamente si tratta di una situazione fantasmagorica: i tedeschi cercano di riconciliare i russi e gli ucraini. Chi l’avrebbe creduto nel 1945!”. A parere del giornalista Vladimir Varfolomeev, da un negoziato a un livello tanto alto ci si poteva aspettare “cose più sostanziali di appelli di turno per la pace. Non si capisce che cosa hanno fatto i presidenti tutta la notte”. Gli fa l’eco l’avvocato Mark Feighin: “Tutto induce a credere che le trattative a Minsk sono finite nel nulla”. Boris Nemtsov, uno dei leader dell’opposizione extraparlamentare, è più sfumato: “Una tregua di pace – sì, ma la pace non ci sarà”.

 

Eduard Limonov, ex alleato dei liberali che dopo Maidan di Kiev è passato dalla parte del Cremlino, va su tutte le furie. “E’ un tradimento! Un affare da pazzi!” A differenza però dei suoi ex amici Limonov è diventato accanitamente antioccidentale, e insieme ai nazionalisti radicali attacca Putin per ciò che loro chiamano “la svendita del Donbass” agli americani. Secondo Zhirinovsky, considerato in Europa ultranazionalista,e  che è in realtà un eccentrico tribuno populista, Minsk 2 non ha prodotto nulla di nuovo. A suo dire l’unica prospettiva valida sarebbe il divorzio tra Kiev e il Donbass che si odiano a vicenda: l’occidente riteneva impossibile la convivenza di kosovari e serbi per l’odio che correva tra di loro. Konstantin Dolgov, uno dei leader del Donbass, gli dà retta in una discussione sul canale Tv Russia Uno: Dolgov parla di circa 5 mila civili uccisi, in alcune località dice che non rimane una casa non colpita dalla artiglieria di Kiev, 90 chiese sono state distrutte – l’odio imperversa, nessuno vuole vivere in Ucraina. Negli ultimi giorni le code negli uffici di leva, dice, arrivavano fino a 500 volontari.

 

I rappresentanti dei ribelli a Mosca dichiarano: abbiamo firmato gli accordi, ma sarà l’ultima volta se Kiev non manterrà gli impegni. Si mette l’accento sulla necessità di un’autonomia larga nell’ambito dell’Ucraina come una condizione sine qua non. Anche i sostenitori di Putin si domandano se Poroshenko riuscirà a trattenere quello che loro definiscono il potente partito della guerra ucraino. A parere della grande maggioranza dei commentatori il presidente di Kiev è estremamente debole. I commenti si riferiscono ai bellicosi radicali, al miliardario Igor Kolomoysky, governatore di Dnepropetrovsk e padrone reale di Zaporozje, Nikolaev e Odessa, al multimilionario Viktor Baloga che signoreggia in Zakarpatje, ad altri oligarchi che si oppongono a ogni tentativo del consolidamento del potere centrale. Alcuni commentatori affermano che la dominante retorica sull’integrità dell’Ucraina è accompagnata da velleità separatiste di vario genere fino a discorsi, per ora sottovoce, sull’eventualità della formazione di una repubblica indipendente di Leopoli, quella di Zakarpatje, ecc.

 

Come asserisce la politologa Veronika Krasheninnikova, Poroshenko può farcela soltanto nel caso di un’incessante pressione europea per la realizzazione di ogni punto degli accordi. Il popolare showman politico Vladimir Solovjov, l’ex primo vice ministro della difesa Andrey Kokoshin si dicono soddisfatti per i $40 miliardi elargiti all’Ucraina dal Fmi. A Mosca si mette in rilevo che la Russia interveniva sempre in favore dell’integrità territoriale dell’Ucraina, con l’eccezione della Crimea. “Ci vuole stabilità nel vicino paese che rimanga però fuori della Nato”. Abbiamo bisogno, scrive il giornalista Dmitri Kosyrev,  un amichevole e sano partner, non una ruina economica-fornitrice di profughi. I rischi dei mesi a venire non sono sottovalutati. C’è una certa preoccupazione per i prossimi giorni. Si tratta del problema di Debaltsevo, dove sono circondati, secondo le autorità delle repubbliche proclamatesi indipendenti, 5-6 mila soldati e ufficiali di Kiev. Poroshenko lo nega, i combattimenti continuano e non si sa come vadano a finire.

 

Ma nell’insieme la soddisfazione per gli accordi di Minsk, anche se limitata, prevale sul pessimismo. C’è un pur incerto ma visibile raggio di speranza, dice Solovjov e spiega: si assiste a un altro livello del coinvolgimento europeo nella soluzione della crisi ucraina, questa volta indubbiamente positivo. Si è reso chiaro che non si può parlare dell’isolamento della Russia neanche in Europa. Secondo Solovjov, l’Ue sembra aver riconosciuto alcuni dei suoi sbagli, a giudicare da qualche passaggio della dichiarazione del quartetto Normandia. Il meccanismo dell’implementazione degli impegni concordati, non previsto dagli accordi di Minsk a settembre, ora appare abbastanza elaborato e presuppone la possibilità della sua correzione. Si è aperto un processo positivo, anche se pieno di rischi, e a Mosca non si escludono per il futuro Minsk-3 e Minsk-4.

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