Salvare Parma

Giovanni Battistuzzi

Cambi di proprietà, debiti e misteri. Breve indagine non solo pallonara su quello che c'è in gioco in Emilia. Entro il 16 febbraio la società deve trovare i soldi, circa 15 milioni, per pagare la seconda rata di stipendi, Iva e Irpef. Manenti, il nuovo presidente ci prova.

In quel teatrino calcistico che è Parma, è iniziato l’ultimo atto per la salvezza della società ducale. Entro il 16 febbraio la società deve trovare i soldi, circa 15 milioni, per pagare la seconda rata di stipendi, Iva e Irpef (ma ne serviranno più del  triplo per risanare le casse societarie), altrimenti ci sarà la messa in mora e in seguito il fallimento, il secondo dopo quello del 2004. Il Parma Football club, notizia di domenica, cambia ancora proprietario:  dopo Tommaso Ghirardi, Rezart Taçi e la comparsata della cordata russo-cipriota rappresentata dalla Dastraso Holdings Limited, il club ducale passa a Giampietro Manenti e Fabrizio Alborghetti.

 

Parma osserva incuriosita, ma il pessimismo è molto e le garanzie che ha dato la nuova proprietà sono avvolte nel mistero. La Mapi Group, la società di riferimento di Manenti, è infatti un’azienda di servizi italo-slovena con un capitale sociale di 7500 euro e già tre tentativi di scalate societarie andate a vuoto a Pro Vercelli, Brescia calcio e Cartiere Pigna. Mesi di trattative, promesse, ma tutte le volte la stessa conclusione: al momento di rilevare le quote societarie, i soldi non si trovavano e tutto sfociava in un nulla di fatto.

 


Il neo presidente del Parma Giampietro Manenti


 

Parma guarda a est, spera nella Russia, perché è da lì che dovrebbero arrivare i capitali, quelli veri, per evitare il fallimento. Fabrizio Alborghetti, direttore del reparto Risorse Umane delle cartiere Pigna e Ceo della RileCart srl, società di termoimpianti, ha fatto riferimento a un non precisato grande gruppo dietro l’operazione. Un grande gruppo che ancora non si è presentato, ma che stando a quanto detto, o forse millantato da Manenti in passato, potrebbe essere Gazprom.

 

Ancora russi quindi. Già il petroliere albanese Taçi aveva parlato di capitali ex sovietici pronti a salvare il Parma, poi rivelatisi inesistenti. “Abbiamo trovato un diversa situazione finanziaria rispetto a quella che ci era stata presentata. Tutti i nostri progetti si erano, quindi, basati su presupposti che, in seguito, non si sono rivelati veritieri”, ha detto a Parma Tv l’ultimo presidente della società ducale, Ermir Kudra annunciando l’arrivo della nuova proprietà.

 


Il presidente per un mese Ermir Kodra


 

Accertato il fallimento del tentativo albanese-russo-cipriota di salvare il club, perché ci dovrebbero essere ancora i russi dietro Manenti e Alborghetti? Perché qualcuno dovrebbe investire per rilevare un società ormai quasi retrocessa, con 230 giocatori a libro paga, con un passivo di oltre 10 milioni, ed esposizioni debitorie per 170 milioni circa? Un grande tifoso, un pazzo, o qualcuno che ha interessi più grandi. E qui rientrerebbero i russi. Il Parma potrebbe essere infatti la testa di ponte per altri affari, più grandi e tutt’altro che calcistici.

 

Le sanzioni alla Russia e il conseguente embargo di prodotti agroalimentari firmato da Putin, ha avuto un contraccolpo importante sia nell’economia che nelle abitudini delle élite russe. Negli ultimi mesi del 2014 già alcune aziende agroalimentari venete sono state acquistate in parte da aziende straniere, quasi tutte serbe ma a partecipazione russa, in modo da aggirare l’embargo. E anche tra le provincie di Parma e Reggio Emilia alcuni imprenditori serbi si sono fatti avanti per l’acquisizione di alcune aziende del settore. “A metà dicembre si sono presentati due uomini di Belgrado, responsabili di una ditta di import-export, intenzionata a rilevare la mia attività”, dice al Foglio Amerigo Mussi, titolare di una tenuta agricola che produce ortaggi nel parmense. “Al mio rifiuto hanno alzato l’offerta. Era buona, ma non era e non è mia intenzione vendere. So che anche altri agricoltori e qualche imprenditore caseario hanno avuto a che fare con le stesse persone e le stesse offerte”, precisa.

 

“Dopo l’embargo, c’è un crescente interesse per aziende agroalimentari italiane da parte di ditte serbe. Il motivo è semplice, la Serbia è fuori dall’Unione europea e non è interessata dall’embargo”, dice al Foglio Luca Nemanja Vutkic, 32 anni di Belgrado ma di origine serbo-italiana, ricercatore alla facoltà di Economia dell’Università di Spalato e interprete per alcune aziende serbe con interessi in Italia.

 

Cosa c'entra questo con il Parma? In Emilia potrebbe essere ripercorso ciò che è già accaduto in Spagna, in Andalusia. Nei primi giorni di novembre il 70 per cento delle quote societarie del Club Deportivo Loya, squadra di Tercera Divisón, di Loya, 20mila anime a nemmeno un centinaio di chilometri da Granada, è passato in mani serbe e, da allora, sono state quasi una decina le aziende agroalimentari a essere state acquistate da imprenditori balcanici (anche in Francia, il Saint-Etienne, nonostante non ci siano conferme dalla società transalpina, sarebbe pronto a passare a una società balcanica secondo la stampa). “Il calcio ha la capacità di creare legami con le aziende locali”, aggiunge Vutkic. “Nei primi giorni di gennaio io stesso ho fatto da interprete per un’azienda serba disposta a investire nel progetto della Dastraso Holdings Limited. Le trattative però non sono andate a buon fine, ma l’interesse c’è ancora. Non sono a conoscenza di rapporti tra la nuova proprietà del Parma con aziende serbe, ma in Slovenia la Mapi Group è considerata gravitare attorno all’universo Gazprom”.

 

Il salvataggio del Parma con capitali balcanici (sloveni in questo caso) sarebbe utilizzato per dare un segnale di stabilità e buone intenzioni alle aziende agroalimentari locali e verrebbe utilizzato inoltre per tessere rapporti con queste ultime in vista di una futura acquisizione. Già nei mesi scorsi infatti alcune società di import-export serbe avevano cercato di acquisire alcune aziende agroalimentari del parmense e del reggiano, non andate però a buon fine. Sempre che dietro a Manenti e Alborghetti ci siano davvero capitali russi e che quei rapporti con Gazprom di cui si è parlato, esistano davvero.

 

[**Video_box_2**]Se il Parma – e la gran parte delle società calcistiche italiane – spera in capitali esteri che possano salvare dal fallimento la società, ci sono altre realtà all’estero dove gli investimenti stranier hanno messo in difficoltà un sistema intero. E’ il caso della Francia dove, secondo un’inchiesta dell’Equipe, sarebbero dodici le squadre della massima divisione, la Ligue 1, ad essere in difficoltà economiche e pronte a cambiare proprietà. Il problema non è solo la crisi economica, ma soprattutto i nuovi ricchi che hanno acquistato Paris Saint-Germain e il Monaco (nonostante il presidente russo del club del Principato abbia fortemente ridotto il budget a disposizione del mercato dopo le sanzioni che hanno colpito le sue aziende in Russia e l’assegno plurimiliardario che ha dovuto staccare alla ex moglie). L’impossibilità di competere economicamente per il titolo e per un piazzamento in Champions League, sta spingendo molti presidenti a un farsi da parte. Il campionato francese infatti, ad eccezione dell’epoca del grande Lione di Aullas (2001-2008), era sempre stato un torneo nel quale anche investimenti modesti potevano portare a grandi risultati, sia per il livello tecnico-tattico non elevatissimo, sia per la bontà del vivaio, tanto che negli ultimi vent’anni ben  11 squadre differenti sono riuscite a vincere il campionato e 14 ad entrare nei primi due posti della classifica. L’intervento dei qatarioti a Parigi ha alterato questo equilibrio e provocato una disaffezione da parte dei vertici societari verso le loro creature.

 

Difficilmente l’ingresso di capitali esteri rilevanti potrebbe creare qualcosa del genere in Italia. La serie A, pur essendo sempre meno competitiva, è nella storia moderna stata sempre terreno di scontro per tre squadre, Juventus, Inter e Milan, con rare intromissioni di Torino, Roma e Lazio e alcune “piccole” capaci per una stagione di imporsi sulle altre. Altrettanto difficilmente il Parma potrà beneficiare di fondi pressoché illimitati come quelli del Paris Saint Germain. La speranza per i ducali è quella che i nuovi proprietari trovino al più presto i soldi per pagare la seconda tranche di stipendi ed evitare così la messa in mora. Gli investimenti, se ci saranno davvero, si vedranno in B dall’anno prossimo.

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