Jon Stewart

Perché Jon Stewart, il liberal che ha trasformato la comicità americana, lascia il "Daily Show"

Stefano Pistolini

Il suo programma è diventato un luogo di demistificazione e graffiante indignazione contro quella materia prima della quale oggi è fatta tanta tv, americana in particolare, ovvero la propaganda e la cattiva informazione, fuorviante e maligna.

Situazione “gran bazar all’ora di punta” nella tv americana. E’ a un punto fermo la questione Brian Williams, messo in castigo dalla Nbc, privato della poltrona di conduttore del “Nightly News” e dello stipendio per sei mesi, dopo che si è appurato che era una bugia la sua storia da corrispondente di guerra, secondo cui si trovava a bordo di un elicottero abbattuto in Iraq – o forse era a bordo dell’elicottero che seguiva quello abbattuto, o forse è arrivato mezz’ora dopo che l’elicottero è stato abbattuto. Tra l’altro, pare che un dossier di “panzane di Williams” stia per emergere e allora non ci sarebbe lacrimosa ostentazione di scuse che salverebbe la sua carriera dalla sepoltura. A mettere in ombra questa vicenda di balle, esce un’altra notizia clamorosa: Jon Stewart, dal 1999 conduttore del popolarissimo “Daily Show” su Comedy Central, ha ufficializzato l’intenzione di lasciare il programma entro l’estate, alla vigilia della naturale scadenza del suo contratto.

 


L'annuncio dell'addio al "Daily show"


 

Il Daily Show, negli anni affermatosi come roccaforte della satira liberal, grazie alla complessa personalità di Jon Stewart, si è trasformato in qualcosa di più di un appuntamento quotidiano con una lettura ironica, trasversale e progressista delle notizie e dei personaggi del momento. E’ diventato un luogo di demistificazione e graffiante indignazione contro quella materia prima della quale oggi è fatta tanta tv, americana in particolare, ovvero la propaganda e la cattiva informazione, fuorviante e maligna. Ottimizzando la formula della risata intelligente alla base dell’umorismo ebraico di cui è l’ultimo esponente di rilievo (vero nome: Jonathan Stuart Leibowitz, americanizzato in Stewart perché Leibovitz “faceva troppo Hollywood ebrea”), Jon ha creduto nella forza di accompagnare il suo pubblico alla risata e all’intrattenimento, sempre portando avanti il ragionamento e mettendo, con l’arte delle allusioni e la sua prodigiosa padronanza dei tempi comici, il re nella sua flagrante nudità.

 


La premiere dello show "Daily show" del 1999


 

L’America sotto i 50, metropolitana, radical e culturalmente evoluta, ha fatto di Stewart e dei suoi scudieri (Stephen Colbert, Larry Wilmore e Steve Carell prima, e più di recente John Oliver, che ora è il candidato più serio a raccogliere la sua eredità, dopo averlo sostituito con successo) un punto di riferimento per l’approccio stilistico, per i toni e i modi coi quali esprimersi e rappresentarsi al riguardo delle cose del mondo: colto, disincantato, tagliente, perfino feroce ma non volgare, sempre aperto al confronto col “nemico”, perfino curioso di conoscerlo, affrontarlo, magari smontarlo, ma rispettandone il fattore umano. Basta qualche conversazione nei bar o nelle sale d’attesa d’una città americana, per capire quanto l’approccio-Stewart ai grandi temi e ai loro misteri abbia influenzato i connazionali, in un paese in cui padroneggiare un atteggiamento “cool” rimane un’esigenza essenziale (e la “coolness” di Stewart è stata al centro di veri studi del comportamento).

 

 


 

L'esilarante, "Le conseguenze del free speech"


 

Le motivazioni dello stop non sono difficili da immaginare, per quanto il timing sorprenda, se si pensa che manca pochissimo all’inizio d’una corsa per la Casa Bianca che si presenta incerta, confusa e popolatissima - una bengodi per un programma come il “Daily Show”. Ma i 52 anni, il conto in banca rigoglioso (Forbes lo valuta 14 milioni l’anno, Tv Guide arriva a 30), gli sconfinamenti sempre più frequenti fuori dalla routine dell’appuntamento quotidiano, sono i sintomi di un’irrequietezza e di un bisogno di rinnovare le motivazioni. “Rosewater”, l’apprezzato film con Gael Garcia Bernal che Stewart ha diretto nel 2013 e che racconta l’odissea del giornalista iraniano Maziar Bahari, può essere un indizio da seguire, per immaginare le prossime mosse di Jon, connesso a un desiderio di passare dietro le quinte della satira. Magari in un ruolo a metà tra il pigmalione e il kingmaker di una scienza inesatta quale l’intrattenimento tv, di cui Jon maneggia i fondamenti con la sapienza che pochi altri hanno – forse quel David Letterman che a suo tempo fu tra i suoi primi estimatori e sostenitori, anche lui ormai in procinto di appendere il microfono al chiodo.

 

 



 

[**Video_box_2**]Del resto il ricambio c’è. Il metodo “vivaio” dei principali show americani, ovvero quello dei piccoli talenti che crescono all’ombra del grande conduttore, dà frutti eccellenti e sofisticati, dal momento che una programmazione capace di schierare Kimmel, Fallon, Oliver e gli altri giovani leoni ha in effetti poco da invidiare a quella dei veterani. Che hanno comunque il merito di aver effettivamente perfezionato il rapporto dell’intelligenza col mezzo televisivo, il suo linguaggio e le esigenze della contemporaneità. In questo, proprio Stewart ha offerto un contributo originale, elegante e assai significativo in termini di cultura popolare. C’è un pezzo del celebre monologo che pronunciò il 20 settembre 2001, quello dello “State bene?”, in apertura della prima messa in onda del “Daily Show” dopo l’interruzione per l’attacco alle Torri, che esprime in modo prodigioso, e al tempo stesso emotivo, il senso del suo lavoro – che è un’ispirazione, una tecnica, ma soprattutto un’evoluzione nei modi della comunicazione. Diceva così: “Un sacco di gente mi ha chiesto: Cosa farai, quando ricominci? Che dirai? Non ti invidio. Io invece non vedo il problema. Lo considero un privilegio. Tutti qui lo consideriamo un privilegio. Questo show è un privilegio. Lo è il fatto che possiamo starcene seduti nel sedile posteriore del nostro paese, a fare delle battute, che è ciò che facciamo. Stiamo seduti qui e tiriamo freccette, senza mai dimenticare che è parte del lusso del vivere in questa nazione. Un posto che permette la libera satira: lo so che sembra elementare e che non dovrebbe esserci il bisogno di dirlo. Ma invece è il principio attorno a cui tutta questa storia ruota. La differenza tra aperto e chiuso. Tra libero e controllato”. Parole istruttive. Parlando di tv, di libertà e dei problemi da risolvere, sui quali cerchiamo d’imparare la verità tutti i giorni.

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