Il ministro della Difesa Roberta Pinotti (foto LaPresse)

I muscoli non servono, dice Pinotti

Paola Peduzzi

Il ministro della Difesa è cauta sull’esito dei negoziati che si svolgono oggi a Minsk per trovare una soluzione al conflitto in Ucraina e dice al Foglio che “l’accordo a oggi esistente, sempre siglato a Minsk a settembre, è corretto, se solo fosse rispettato”.

Milano. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti è cauta sull’esito dei negoziati che si svolgono oggi a Minsk per trovare una soluzione al conflitto in Ucraina e dice al Foglio che “l’accordo a oggi esistente, sempre siglato a Minsk a settembre, è corretto, se solo fosse rispettato”: se si ripartisse con un cessate il fuoco che nessuno viola dopo due ore sarebbe già un risultato. Nell’attesa però Pinotti esclude che “armare l’esercito ucraino sia una strategia utile: la temperatura si è già alzata, una decisione del genere la farebbe aumentare ancora di più”. Gli americani stanno valutando l’opzione, gli europei non ne vogliono nemmeno sentir parlare, “in questo caso abbiamo mostrato una voce unica e abbiamo fatto bene”, sottolinea Pinotti, che durante tutta la conversazione cercherà di ribaltare i cliché malevoli che circolano sull’Italia e sull’Europa. Sulla proposta americana il ministro tende a smorzare la “frattura” transatlantica: “Ho parlato con Chuck Hagel (ministro della Difesa americano uscente, ndr) e ho capito che la possibilità di dare armi a Kiev è discussa ma la decisione non è stata presa, le nostre posizioni non sono poi così diverse”.

 

Certo, Vladimir Putin non aiuta. “Organizzare proprio adesso le esercitazioni in Crimea non è certamente un gesto distensivo”, ma rispondere non aumenterà “le possibilità di un esito positivo del negoziato”: ci sono già le sanzioni economiche, la dimostrazione del fatto “che la Russia non può violare la legittimità internazionale senza subirne le conseguenze” e ci sono le “operazioni di rassicurazione” nei confronti degli stati più esposti alla minaccia russa. “Abbiamo deciso in sede Nato di prolungare di quattro mesi la nostra partecipazione a tali operazioni. Noi italiani contribuiamo al controllo dello spazio aereo della Lituania, e i nostri Eurofighter sono già intervenuti quattro volte per prevenire violazioni dello spazio aereo lituano da parte di aerei russi”. Un’escalation muscolare però finirebbe soltanto “per aumentare il rischio di guerra”. Ma non c’è già, la guerra? “Ci sono scintille che vanno spente – risponde Pinotti – La posizione russa, che io registro, è che non c’è un esercito che combatte per Mosca, si tratta di volontari”. Il ministro non condivide la versione dei russi, dice che “certi interventi non sono accettabili”, ma allo stesso tempo si rende conto che, nel conteggio finale del negoziato, è necessario considerare il fatto che Putin si senta minacciato da un eccessivo avvicinamento della Nato ai suoi confini. Qualcosa si dovrà insomma pensare, “senza per questo però mettere a repentaglio la sovranità ucraina”. Questa sovranità è già stata ampiamente violata, Pinotti lascia intendere che sulla questione Crimea sarà difficile tornare indietro, ma sull’eventualità che la stessa sorte possa toccare ad altri territori dell’Ucraina dell’est è categorica: “E’ fuori discussione”.

 

Dopo l’ultima ministeriale della Nato, a un anno dal suo esordio, il ministro Pinotti ha la sensazione che le divisioni all’interno dell’Alleanza su come affrontare la Russia siano diminuite, “un anno fa i toni erano molto più accesi”, e certo i paesi dell’Europa dell’est continuano a essere i più preoccupati, ma c’è “una maggiore condivisione delle minacce esistenti”. Perché se è vero che in questi giorni il “fronte est” è quello che rischia di precipitare in fretta, il “fronte sud”, su cui l’Italia è maggiormente coinvolta, è “in una situazione di estremo pericolo”. Non che si possa fare una classifica delle minacce, ma “in sede Nato abbiamo tutti preso consapevolezza del fatto che il Califfato e lo jihadismo sono ‘un fenomeno a 360 gradi’, come mi hanno detto nel nostro incontro il generale John Allen (inviato speciale di Obama per la coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico, ndr) e il generale Martin Dempsey (capo delle Forze armate americane, ndr), e che come tale va affrontato”. Pinotti rivendica “la nuova iniziativa dell’Italia nella Nato sulla condivisione dei temi principali, e se fino all’anno scorso era la questione russa a prevalere adesso anche il fronte sud è entrato, grazie alla nostra insistenza, nei punti programmatici che saranno presentati alla riunione di giugno”. L’America chiede più responsabilizzazione da parte dell’Europa – “una strategia che condivido”, dice Pinotti – e l’Italia è reattiva. In Libia, soprattutto, “dove era in corso, prima delle elezioni del giugno scorso che hanno cambiato del tutto lo scenario libico, un progetto di addestramento delle forze libiche. L’allora ministro della Difesa Abdullah al Thinni (ora primo ministro, ndr) mi aveva chiesto la disponibilità di addestrare le truppe governative in Libia, c’era una caserma sicura che ci avrebbero dato per organizzare la formazione”. Poi tutto è cambiato e anche gli uomini che arrivavano nelle nostre basi per essere addestrati non sono più stati mandati, “non c’erano nemmeno più le persone in Libia che facevano la selezione”. Ora che il negoziato si è riaperto – questa settimana dovrebbe esserci un altro incontro, “la data non è ancora fissata”, cui hanno accettato di partecipare per la prima volta il Congresso e il governo di fatto di Tripoli – l’Italia ha già fatto presente di voler dare tutto il suo sostegno, “se c’è una richiesta della Libia e con il mandato dell’Onu”, dice Pinotti.

 

[**Video_box_2**]Nella lotta allo Stato islamico, l’Italia è già in prima fila, spiega il ministro: “Nella nostra base in Kuwait abbiamo i Tornado, i Predator e un aereo di rifornimento, circa 150 persone impegnate. I Tornado non partecipano agli strike, ma fanno ricognizione: una delle difficoltà maggiori oggi è individuare gli obiettivi da colpire, e noi aiutiamo la coalizione a farlo”. C’è poi il centro di addestramento a Erbil progettato assieme a Berlino, “a regime ci saranno circa 280 persone, di cui 200 addestratori e 80 consiglieri militari, tra Erbil e Baghdad. Il comando sarà a rotazione con i tedeschi, che però manderanno in tutto cento uomini. Il nostro contributo è significativo, circa 500 persone in tutto, non si può dire che non siamo attivi”, dice Pinotti (che ricorda che l’Italia è stata la prima a fornire aiuti militari ai curdi, “le armi che ci hanno chiesto, quelle utili, non altre come è stato detto”). Ora Obama chiede al Congresso più poteri di guerra, ma la possibilità di mandare i “boots on the ground”, i soldati sul campo, continua a essere un tabù? “Perché un tabù? Sarà la coalizione a decidere e seguiamo le evoluzioni, ma è una decisione finora presa consapevolmente: la storia della guerra in Iraq, al di là delle motivazioni dell’invasione, cui mi opponevo, ci insegna che i soli soldati sul campo non sono risolutivi. E’ lo stesso governo iracheno che ci chiede prudenza, per evitare di alimentare quel filone anti occidentale che causa reazioni ancora più violente”. Gli scarponi sul terreno ancora non ci sono, il metodo americano di responsabilizzazione è corretto, ma si può vincere contro una forza come lo Stato islamico così attaccata alla conquista territoriale usando gli aerei senza mai toccare terra? “Io penso di sì”.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi