Agli amici del Pd

Luigi Manconi

Come la minoranza del Pd ha dimenticato cosa significa la parola libertà. Lettera aperta.

Cari Bersani e Cuperlo, cari Vendola e Fassina. Sono ritornato in parlamento dopo dodici anni, nel 2013, e da allora ho subìto una singolare deriva movimentista: una sorta di estremismo senile, tutto contenutistico e sostanzialistico. Una sindrome “cosistica” del tutto indifferente alla logica degli schieramenti e della tradizionale toponomastica della sinistra nelle sue diverse articolazioni. Questo mi ha portato a una deformazione della prospettiva. E’ quest’alterazione dello sguardo (per altro assai fioco, com’è noto) che voglio subito dichiarare affinché non venga utilizzata come pregiudizio nei confronti dei miei argomenti, dei quali sono il primo a riconoscere l’unilateralità. Insomma, sono consapevole della mia deviazione ma, prima di rinunciarvi, voglio esporre le ragioni che l’hanno determinata. Ho sostenuto con la massima convinzione tutti gli emendamenti della minoranza del Pd (e alcuni di Sel) su articolo 18 e Jobs Act e quelli sulla legge elettorale. Ho fatto quello che considero il mio elementare dovere, ma senza alcun entusiasmo e senza sentirmi parte, per questo, della cosiddetta minoranza o sinistra del Pd e di quel movimento che si starebbe organizzando dentro e “alla sinistra” di quel partito. Ovvero dissidenti democratici, Sinistra ecologia e libertà, pezzi di 5 stelle, componenti di quella che fu la lista “L’altra Europa per Tsipras”. Per quanto mi riguarda, non mi riconosco in queste prove di aggregazione e non vi partecipo essenzialmente per due ragioni. La prima è che nei comportamenti, innanzitutto parlamentari, di questi soggetti vedo prevalere politicismo e tatticismo. Non mi riferisco solo al nevrotico tic di alludere quotidianamente a una scissione prèt à porter del Pd, smentita prima che il gallo canti tre volte. Mi riferisco piuttosto a una tattica sulla legge elettorale a dir poco bizzarra (quale quella che ha portato la minoranza del Pd a votare in un modo alla Camera e in un altro al Senato); e al fatto che, nell’iter al Senato, il meccanismo delle preferenze si sia trasformato in una sorta di Stalingrado o, se preferite, di Fort Alamo: fulgido simbolo della democrazia partecipata e del protagonismo politico. Sia chiaro: non sottovaluto i risultati ottenuti sul piano parlamentare e, tantomeno, il voto per l’elezione del nuovo capo dello stato e il conseguente movimento che ha attraversato e modificato il quadro politico. Ma noto che tutto ciò continua a riguardare solo marginalmente la questione che, per me, costituisce la vera posta in gioco dell’attuale fase politica e dei suoi mille affanni. Mi spiego. In due anni di parlamento, ho cercato di fare ciò che considero il mio onesto lavoro di uomo di sinistra: e questo lavoro non sembra aver interessato in alcun modo quella che si definisce e viene definita la sinistra. Non c’è dubbio che, da sempre, le sinistre sono più di una, e le interpretazioni di ciò che è sinistra sono ancora più numerose. Di conseguenza, mi limito a constatare che la sinistra e le sinistre non sembrano volersi qualificare per quelle questioni e per quelle battaglie che io considero inequivocabilmente di sinistra. Grazie al cielo, le eccezioni non sono affatto rare, ma restano appunto eccezioni rispetto a una tendenza prevalente, che va in tutt’altra direzione (appunto politicista e tatticista). Va da sé: è possibile che sia io a sbagliare e ad avere, come ho anticipato, una visione deformata delle cose. Per questa ragione, provo a stilare un elenco di problematiche che segnano, a mio avviso, una netta linea di demarcazione dello spazio politico e che non vedono la sinistra parlamentare, per così dire, particolarmente interessata: e faccio questo perché mi si possa eventualmente smentire e si possa argomentare come sia io a sbagliare collocazione. Ciascuna di quelle problematiche qualificanti la frattura destra/sinistra può essere definita col nome di una forma di libertà. Libertà di lavoro (dove quel di richiama tutte le contraddizioni e i conflitti del rapporto o del mancato rapporto con il lavoro dipendente). Qui, la sinistra parlamentare, qualcosa ha fatto. Libertà personale (carcere, centri di identificazione e di espulsione, ospedali psichiatrici giudiziari, trattamento sanitario obbligatorio) come tutela rigorosa dell’habeas corpus contro ogni abuso. Libertà di autodeterminazione (fine vita, scelte di cura, fecondazione assistita, genitorialità, unioni civili) come affermazione di sovranità su di sé e sul proprio corpo. Ebbene, su tali questioni, la sinistra e le sinistre, specie quelle parlamentari, sembrano o del tutto indifferenti o, nel migliore dei casi, riottose. Eppure a me risultano tutte problematiche limpidamente e inequivocabilmente di sinistra. Due esempi sono particolarmente illuminanti. Sulla questione dell’immigrazione e dell’asilo, che mi sembra roba di sinistra, mai sono stato chiamato a una battaglia parlamentare, a una mobilitazione collettiva, a un conflitto politico. E nemmeno a una qualunque iniziativa fuori dalle sedi istituzionali. E così ci siamo dovuti arrangiare come potevamo e sapevamo e abbiamo realizzato un’accurata indagine sui centri di identificazione ed espulsione; e, grazie a un emendamento, abbiamo ottenuto che la permanenza degli stranieri in quei luoghi orribili venisse ridotta da 18 mesi a 90 giorni. Ma si pensi ancora alla “questione Rom”, la più “intrattabile”, scivolosa e imbarazzante. Non pretendo che diventi prioritaria e nemmeno centrale nell’agenda politica, ma propongo qualche osservazione. Questa minoranza ha ormai assunto, nell’agitarsi del torvo rancore nazionale,  il ruolo di principale capro espiatorio, oggetto di aggressiva stigmatizzazione e di diffusa ostilità. E a opporvisi sono, appena, i radicali, qualche associazione e alcuni intellettuali come Moni Ovadia, Lerner e Santino Spinelli. D’altra parte, consentire la criminalizzazione della minoranza rom agevola la criminalizzazione di tutte le minoranze. Non sarebbe una bella e appassionante battaglia di sinistra provare a impedirlo?

 

Luigi Manconi è senatore del Pd

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