Perché il tempo è la materia prima più preziosa per l'Ilva

Alberto Brambilla

La continuità produttiva dello stabilimento siderurgico nel breve periodo è a serio rischio, al punto da mettere in discussione gli ambiziosi sforzi del governo, intenzionato a rilanciare l’azienda con la partecipazione dello stato nei prossimi mesi.

Roma. “La materia prima più preziosa è il tempo”. E’ una massima dell’economia rispolverata da Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze greco, il più indebitato d’Europa, che vale per qualsiasi situazione emergenziale, vedi l’Ilva di Taranto.

 

La continuità produttiva dello stabilimento siderurgico nel breve periodo è a serio rischio, al punto da mettere in discussione gli ambiziosi sforzi del governo, intenzionato a rilanciare l’azienda con la partecipazione dello stato nei prossimi mesi.

 

La procedura di amministrazione straordinaria, primo step del decreto salva Ilva, e la successiva dichiarazione di insolvenza della società, hanno gettato nel panico le centocinquanta imprese fornitrici, incerte sulla possibilità di recuperare i crediti vantati verso l’Ilva (cosa promessa a suo tempo dal commissario Piero Gnudi). Gli imprenditori sperano verrà ripristinato in sede di dibattito parlamentare il principio della par condicio creditorum che il decreto, nella forma originaria, supera dividendo i fornitori in strategici e non strategici.

 

La situazione è così compromessa che i 160 milioni promessi da banca Intesa Sanpaolo per anticipare il pagamento delle fatture verso i clienti appaiono risorse salvifiche sebbene siano in realtà emergenziali. Intesa, la banca più esposta verso l’Ilva per 850 milioni di euro, è intervenuta grazie alle pressioni governative e alla rassicurazione che lo stato parteciperà al salvataggio con la Cassa depositi e prestiti. 

 

La Cdp su input del Tesoro, suo azionista di maggioranza, avrebbe sciolto le riserve decidendo di investire 200 milioni di euro nel fondo dedicato alle ristrutturazioni aziendali (Società di servizio per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese italiane) per contribuire alle “innovazioni di processo” degli impianti. I rischi sono dietro l’angolo. Il nuovo fondo, da riempire con risorse sia pubbliche sia private, verrà creato in forza al decreto legge varato dall’esecutivo il 20 gennaio. Il decreto contiene, nella prima parte, anche la controversa riforma bancaria che forza la trasformazione delle banche popolari in società per azioni.  La riforma è oggetto di una fronda trasversale in Parlamento capace di ritardare la conversione in legge dell’intero decreto. La lobby degli acciaieri europei, Eurofer, già minaccia di rivolgersi alla Comunità europea per censurare l’Italia per aiuti di stato. Le risorse pubbliche potrebbero essere utilizzate non per migliorie tecnologiche, come vorrebbe la Cdp, ma per garantire la continuità produttiva date le condizioni di difficoltà. 

 

A Taranto le prospettive sono cupe. Gli autotrasportatori, dopo gli imprenditori dell’indotto, hanno incrociato le braccia. Hanno lavorato per conto della gestione commissariale senza la garanzia di essere pagati, pretendono i crediti pregressi e non riescono ad anticipare i costi operativi, come la benzina, per potere continuare a trasportare i prodotti finiti dell’Ilva – i laminati piani – verso le fabbriche di destinazione nel nord Italia. I prodotti finiti non escono, ma nemmeno entrano le materie prime, come il minerale di ferro e il carbone, per caricare gli altiforni e le cockerie, ovvero per produrre acciaio. Le riserve stanno scarseggiando e non si capisce come potranno continuare a raggiungere Taranto. Ieri a Ravenna è stata sottoposta a sequestro conservativo la nave Corona Australe della flotta Ilva per i debiti dell’armatore verso una società veneta, dice l’Ansa. Sarebbero numerosi i creditori, gli armatori e i fornitori, pronti a rivalersi verso la filiale marittima dell’azienda siderurgica, Ilva Servizi Marittimi, e quindi pretendere i cospicui crediti vantati, dice il portale specializzato Ship2Shore.com.

 

Il problema dell’Ilva è nato nel 2012 dalle discutibili rimostranze avanzate dalla procura di Taranto che hanno messo in ginocchio un intero sistema produttivo. La politica aveva rincorso l’autorità giudiziaria, ora invece corre contro il tempo.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.