Rupert Murdoch

Se vuoi la felicità, comprati un giornale. L'invito di Murdoch a Bloomberg

Paola Peduzzi

Il principe saudita al Waleed bin Talal si ritira da News Corp., il colosso editoriale di Rupert Murdoch, con il tono beffardo che spesso caratterizza gli addii: ti voglio bene, ma sto risistemando il portafoglio con altri investimenti.

Il principe saudita al Waleed bin Talal si ritira da News Corp., il colosso editoriale di Rupert Murdoch, con il tono beffardo che spesso caratterizza gli addii: ti voglio bene, ma sto risistemando il portafoglio con altri investimenti. In realtà il principe non lascia tutta l’azienda, soltanto la sorella brutta, quella dei giornali, ma rimane l’investimento in 21st Century Fox, la sorella bella, quella dell’intrattenimento, che è anche la più ricca. Non è che adesso Murdoch si trova di nuovo in mezzo a una rivolta degli azionisti, da anni piuttosto agitati, e ricomincia la crisi? Per molti andrà così, e comunque lo Squalo non dovrebbe nemmeno più averlo, quel colosso, dopo tutte le schifezze che ha fatto maneggiando segreterie telefoniche e rubando privacy, ma la giustizia la pensa diversamente e la notizia della morte di Murdoch è da sempre enormemente esagerata. Anche perché a giudicare dal suo attivismo, Murdoch pare proprio intenzionato a viversi con la solita aggressività almeno questi due anni elettorali, tra Regno Unito e Stati Uniti, governando i suoi giornali – la sorella brutta che per Murdoch è bellissima – e facendoli contare.

 

David Carr, editorialista del New York Times, nella sua ultima column riprende un tweet che Murdoch ha fatto un paio di settimane fa, mentre noi ci lasciavamo distrarre dalle tette scomparse dalla pagina 3 del tabloid britannico Sun, murdocchiano naturalmente (le tette sono ricomparse, l’istituzione è salva): “Ha un prezzo la felicità di una vita per un multimiliardario con senso civico, generoso, ma annoiato? Mike Bloomberg può facilmente permettersi il New York Times”. Soltanto “due persone in tutto il mondo”, scrive Carr, possono avere questa conversazione, “sono entrambi proprietari di media a New York, entrambi con più soldi di molti stati sovrani ed entrambi grandi fan delle notizie e delle organizzazioni che le commerciano”: Murdoch e Bloomberg, ex sindaco di New York proprietario di un colosso mediatico che porta il suo nome. Loro due pensano che comprarsi un giornale possa dare la felicità, non lo fanno per i soldi, lo fanno per poter contare, per poter influenzare quel che accade intorno, non soltanto per salvaguardare i propri interessi economici, ma soprattutto per portare avanti la loro visione del mondo. “Kingmaker”, si dice. E Murdoch invita Bloomberg, che ha dieci anni meno di lui e che del murdocchismo ha tantissimo, per quanto non gli piaccia ammetterlo essendo un indipendente con la fissa del catastrofismo ambientale: dai vieni anche tu a divertirti, qui si sta benissimo.
Da tempo si parla di un interesse di Bloomberg per il New York Times, lui non fa sapere granché, e non ci è dato sapere se davvero abbia intenzione di mantenere quella meraviglia complicata e non proprio ricca che è la Grey Lady.

 

[**Video_box_2**]Ma Murdoch, che del business è sovrano e che condivide con Bloomberg la maniacale attenzione per il ciclo delle notizie (si dice che l’ex sindaco abbia seguito passo a passo il lancio della nuova piattaforma web di Bloomberg, e si sa che Murdoch chiama in redazione al Wall Street Journal per sapere qual è il titolo dell’apertura del giorno dopo), dice di lanciarsi perché – scrive Carr – è difficile pensare a un’azione tanto efficace come quella di possedere “grandi e pulsanti” proprietà mediatiche. Piccoli o grandi in realtà non conta – o meglio, conta, certo, ma non per ottenere la felicità – conta piuttosto quanto si può decidere, del mondo, possedendo un giornale. Da Bloomberg dicono che l’unico interesse del boss è il traffico verso i terminali delle notizie finanziarie, ma se davvero fosse così non si spiegherebbe perché sta facendo una campagna acquisti di giornalisti politici bravissimi (pagandoli alla grande). E da News Corp. si sa, tutti vorrebbero che il carrozzone costoso dei giornali, la sorella brutta, fosse buttato giù dalla rupe, lo voleva persino il figlio-delfino James, figurarsi: quando Murdoch decise di comprarsi il Wall Street Journal ci fu una rivolta nel giornale, certo, ma anche dentro all’azienda. Per Rupert era indispensabile, e così se l’è comprato, perché voleva e perché poteva. Ora che ci sono le elezioni in America, il bottino di Murdoch e di Bloomberg è più prezioso che mai, anche se perde soldi, anche se è in continua trasformazione: è un giocattolo politico che non ha pari. David Carr cita le parole di Charles Foster Kane di “Citizen Kane”, quando il suo legale gli fa sapere che sta perdendo un sacco di soldi nel suo giornale. “Hai ragione – dice – Ho perso un milione di dollari l’anno scorso. Lo perderò anche l’anno prossimo. Lo perderò anche l’anno successivo. Al ritmo di un milione di dollari perso all’anno, dovrò chiudere questo posto tra… 60 anni”.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi