Vladimir Putin (foto LaPresse)

I moscoviti e la crisi

Marta Allevato

In Russia l’inflazione morde, gli alberghi chiudono e si taglia sul cibo, ma è sempre “vsio plokho”. Solo della vodka non aumentano i prezzi. La rassegnazione scanzonata dell’anima russa - di Marta Allevato

La crisi economica in Russia non è più un tabù. Se ne parla sui media, è sulla bocca di politici e leader religiosi, oggetto di autoironia sui social network. Spendere con slancio e senza remora, capacità che rientra nella celebrata russkaja dusha (anima russa), sembra non essere più una delle caratteristiche nazionali. I primi a sentire gli effetti combinati del calo del petrolio, della svalutazione del rublo e delle sanzioni occidentali per la crisi ucraina, secondo il quotidiano Kommersant, saranno i moscoviti, che negli ultimi 15 anni “hanno fatto proprie abitudini costose, che presto dovranno abbandonare”.

 

Vladimir, manager quarantenne, racconta di aver rinunciato alle sue “indispensabili” scarpe fatte su misura in Italia, diventate troppo costose (600 euro) e di aver acquistato, per la prima volta nella sua vita, un biglietto Roma-Londra con Ryanair. L’associazione dei tour operator di Russia ha stimato che il costo di volare in Europa è aumentato del 50-70 per cento e in Asia del 30-40 per cento. Per l’estate si teme un calo dei viaggi all’estero fino al 40 per cento. Segno dei tempi. Gli stessi che vedono Mosca svuotarsi di stranieri, con la richiesta di affitti per gli appartamenti di lusso (pagati in dollari) dimezzata e i ristoranti che chiudono a ritmo vertiginoso: 46 da novembre a gennaio, scrive il giornale Rbc. Va a gonfie vele il negozio online Fucking Chairs, dove si vendono gli arredi dei ristoranti che hanno chiuso. Secondo i suoi ideatori, presto s’inizierà anche con i mobili degli alberghi. Il ristorante spagnolo Tapas de Comida ha detto addio ai clienti su Facebook, con un semplice “Don Chisciotte è stanco di combattere contro i mulini a vento”.

 

La battaglia nasce con il rincaro dei generi alimentari (per lo più importati e che quindi subiscono l’effetto del cambio sfavorevole), con la difficoltà di reperire materie prime a causa dell’embargo imposto dalla Russia ad alcuni prodotti occidentali e con la crescente propensione al risparmio della middle class. Secondo il Centro Levada, a gennaio la maggiore preoccupazione per il 49 per cento dei russi era la situazione economica, contro il 29 per cento di un anno fa. Sotto il peso di un’inflazione che in primavera potrebbe superare il 15 per cento, il 60 per cento della classe media ha iniziato a tagliare sul cibo, mentre il 22 per cento della popolazione, ha deciso di risparmiare sui divertimenti. Il magazine Afisha ha pubblicato un articolo sulla fine della night life a Mosca, dove si opta più per il party in cucina tra amici, come durante l’Urss.

 


Donne in un supermercato a Mosca


 

Ma è in questi momenti che i russi sfoderano la loro scanzonata rassegnazione davanti alle difficoltà. C’è per esempio chi ha ideato il sito zenrus.ru dove su uno sfondo di diversi paesaggi, si stagliano le tre cifre che tutti controllano almeno una volta al giorno: il cambio del dollaro, quello dell’euro e il prezzo del barile; musiche di diverso tipo invitano a rilassarsi, nonostante lo scorrere a ribasso della valuta nazionale e del petrolio, principale fonte di introiti del bilancio federale. A metà dicembre, quando il rublo ha toccato per un giorno quota 100 sulla moneta europea, su Twitter ha spopolato l’hashtag #KrizizNash (CrisiNostra), che faceva il verso al più celebre #KrimNash (CrimeaNostra), slogan dell’annessione della penisola ucraina.

 

“Abbiamo superato crisi più gravi” è il mantra che si ripetono in molti, su questo atteggiamento fa leva anche la politica. “Tirate la cinghia e mangiate di meno”, ha suggerito un parlamentare di Ekaterinburg, sugli Urali, a una donna che si lamentava dell’aumento dello zucchero (+80 per cento da ottobre), mentre il governo sta considerando l'introduzione di un tetto ai prezzi dei generi alimentari essenziali. “Resisteremo a ogni avversità, consumate meno elettricità”, ha dichiarato il primo vice premier Igor Shuvalov. Il deputato Igor Chernyshev ha suggerito alle donne di usare coloranti naturali, come la barbabietola, al posto dei costosi rossetti occidentali. Il patriarca ortodosso russo Kirill ha ricordato che “durante le crisi vinciamo il male” e ha invitato a riscoprire “la solidarietà di epoca sovietica”.

 

L’élite sta spiegando alla popolazione che la crisi è una responsabilità condivisa. La domanda è se coloro che hanno sostenuto con entusiasmo l’operazione Crimea – non l’unica causa di una crisi strutturale – siano pronti a pagarne il prezzo. Stando ai sondaggi, la risposta è sì. La maggior parte dei russi non sembra temere sacrifici e sostiene il suo leader. Soprattutto nell’immensa provincia russa, dove la crisi si sente, ma tanto è sempre vsio plokho (tutto male), come raccontano alcuni abitanti di Krasnoturinsk (Siberia occidentale) alla tv indipendente Dozhd, che ha confezionato un reportage dal titolo “Guerra e crisi con gli occhi dell’84 per cento”, riferendosi alla percentuale dei consensi di Vladimir Putin.

 

E qui torna la proverbiale anima russa, che non annovera i soldi tra i suoi valori e che tende a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, annebbiando la consapevolezza dei problemi nel bere. Lo sanno bene da Auchan, che dà la possibilità di comprare superalcolici di qualità a credito, ma anche al Cremlino. Dal 1° febbraio, è stato abbassato a 200 rubli il prezzo minimo della vodka a bottiglia. Motivazione ufficiale è la lotta al samagon, la bevanda di produzione casalinga dagli effetti devastanti sulla salute; ma la vodka è consolazione e rimedio nazionale per i mali più disparati. Come scrive il quotidiano Vedomosti, in un momento di crisi Putin non dimentica che i tentativi di limitare il consumo di alcol nel Paese hanno spesso portato a cambiamenti politici. Chiedere a Gorbaciov.