Denis Verdini e Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Cronaca di una giornata pazza

Salvatore Merlo

Tutti a Castello Grazioli per far saltare il Nazareno, anzi no. Il patto sulle riforme è saltato, ma le riforme no. Strano. E allora Verdini: “Ma lo avete capito o no? E’ me che vogliono ammazzare”.

Roma. Alle 13.48 le agenzie battono stentoree: “Il patto del Nazareno è rotto”, e gli uomini di Silvio Berlusconi, i venti membri dell’ufficio di presidenza, abbandonano Palazzo Grazioli alla spicciolata, dopo quasi due ore di riunione. Ma lo scontro non è con Renzi. “Più che il Nazareno è Denis Verdini che bisogna rompere. Ma quando se ne va?”, sibila Alessandro Cattaneo, il più giovane dei colonnelli, mentre si allontana da casa del Cavaliere, e rende in un lampo, in una scintilla feroce, l’idea d’un conflitto inesorabilmente deflagrato. Così quando Giovanni Toti, il consigliere, si presenta davanti alle telecamere, sembra provare una specie d’imbarazzo balbettante per l’ossimoro che si trova a dover pronunciare forse suo malgrado: “Il patto con Renzi è sospeso, congelato, rotto, finito, fate voi”, dice, “ma le riforme continuano”. Il patto sulle riforme è saltato, ma le riforme no. Strano. E allora Verdini: “Ma lo avete capito o no? E’ me che vogliono ammazzare”, mica il Nazareno. E davvero dietro ogni parola è legittimo vedere il balenìo d’uno specchietto allusivo, in questi giorni di contesa, mentre ciascuna delle fazioni di Forza Italia raccoglie truppe nei corridoi, e mentre questo muoversi sotterraneo in armi agita anche, di riflesso, il Partito democratico: “Se si è rotto il patto del Nazareno, tanto meglio”, dice Luca Lotti.

 

Martedì sera, in piazza San Lorenzo in Lucina, nella sede di Forza Italia, Mariarosaria Rossi e Deborah Bergamini, come ha scritto l’Huffington Post, hanno fatto di conto, riunito gli amici e mostrato i muscoli: “Abbiamo più parlamentari di Verdini. Possiamo anche costruire un gruppo autonomo”. Ma Daniela Santanchè, che è amica di Verdini: “Il circo si fa con le tigri, mica con le gattine”. E insomma gli uomini di Forza Italia si assordano con richiami, insulti, imbonimenti. Nessuno vuole sul serio far saltare il Nazareno, pare, ma in tanti vogliono far saltare l’ambasciatore e l’architetto del patto, cioè Verdini, anche a costo di mettere il patto a rischio. E l’attesa dello scontro li sorregge, li sospinge, agisce come un anestetico, suscitando parvenze di mobilità, spasmi di vitalità in qualcosa che non c’è più, che è stata amputata. “Queste cose sono l’incarnazione del dilettantismo”, dice Raffaele Fitto, in Transatlantico, con piccoli periodi chiari chiari come cibi per malati: “Sono tutte riunioni farlocche”, “stanno logorando Berlusconi, e poi dicono che è colpa mia”, “si contendono le spoglie del nulla”. E Verdini viene anche accusato d’intelligenza con lui, con Fitto, il ribelle, “ma io con Verdini ci litigo da tre mesi”, dice Fitto, facendo spallucce come se poi in fondo tutta questa ringhiante confusione non lo riguardasse affatto: facciano quello che vogliono, “ma io non me ne vado, e Berlusconi non può cacciarmi”. Marasma nel marasma. Tanto che a Palazzo Grazioli, in un climax di confusione, a un certo punto si realizza quel vecchio e cinico detto giornalistico che recita così: la notizia precede il fatto e lo determina. E infatti, a riunione in corso, tutti chiusi in una stanza, Renato Brunetta ipotizza le dimissioni sue e di tutto il gruppo dirigente. Passa neanche un minuto e un’agenzia batte la notizia: i dirigenti di Forza Italia si sono dimessi. Al che Mariastella Gelmini legge l’agenzia, in diretta, mentre anche La7 trasmette la notizia in un pazzo cortocircuito, e dice: “Ma com’è che hanno scritto questa cosa? Così è come se avesse vinto Fitto, che chiede l’azzeramento dei vertici. E’ un disastro”. E Berlusconi, pratico: “Facciamo che mi avete presentato le dimissioni e che io le ho respinte”. E anche attraverso l’ilarità di certe situazioni si sente nell’aria l’incombere di una piccola o grande catastrofe. Ma sussurra Fitto: “Il patto del Nazareno non è finito, non è rotto e non è congelato. E’ del tutto evidente”.

 

E infatti nella confusione, l’unica cosa certa è che Berlusconi, ricambiato, motteggia Renzi dandogli del “birichino”, come dire che la loro sofistica contrattualità di rapporti si può regolare solo così, con una ribalda accondiscendenza. Nel marasma di Forza Italia, il Sovrano galleggia, capeggiando tutte le fazioni, in un pericoloso caos creativo: autorizza i nemici di Verdini, ma difende il suo Denis, sbuffa quando gli parlano di Fitto, ma quando lo incontra gli assicura d’essere perfettamente d’accordo con lui. E alla fine nel partito tutto si muove etsi Cav. non daretur. Come se Berlusconi non ci fosse. Ma non si può dire, perché lui c’è, anche se non c’è. 

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.