Il principe giordano Ali Bin al Hussein (a sinistra) insieme con Michel Platini (a destra)

Così un principe giordano tenta la scalata alla Fifa

Francesco Caremani

In attesa del Mondiale in Qatar, un principe giordano sfida Blatter alla presidenza del massimo organismo mondiale del calcio. Ali Bin al Hussein, è l'immagine dell'islam moderato a cui piace ancora giocare a pallone. Ma che cela anche qualche contraddizione.

Ali Bin al Hussein, principe di Giordania, presidente della locale federazione calcistica e della West Asian Football Federation (la Waff, da lui fondata nel 2001), vicepresidente della Fifa e membro del Comitato esecutivo, ha lanciato il guanto di sfida a Joseph Blatter (78 anni) per le elezioni del prossimo 29 maggio, quando sarà eletto (o rieletto) il comandante in capo del massimo organismo mondiale di calcio. Nato ad Amman, figlio del defunto re Hussein e della regina Alia, ha studiato nella scuola della comunità americana della capitale giordana, poi Salisbury School in Connecticut, Royal Military Academy Sandhurst nel Regno Unito, completando la sua formazione alla Princeton University. La sorella, la principessa Haya, è presidente della Federazione equestre internazionale, e il fratello, principe Faisal, è membro del Comitato olimpico internazionale (Cio). Una candidatura appoggiata subito da Michel Platini che rappresenta i 54 paesi votanti dell’Uefa, e che secondo L’Equipe nutre un odio consolidato per il candidato francese Jérôme Champagne. Mentre la Federazione asiatica (46 voti), presieduta da Salman Bin Ibrahim al Khalifa, membro della famiglia reale del Bahrain, lo scorso novembre ha confermato il suo appoggio allo svizzero Blatter.

 

Il ‘piccolo principe’ (39 anni) ha puntato su tre concetti programmatici chiave: trasparenza, governance e calcio. Ha fatto parte del comitato etico della Fifa, chiedendo più volte la pubblicazione integrale del rapporto di Michael Garcia sulla corruzione per l’assegnazione dei Mondiali 2018 alla Russia e del 2022 in Qatar. Secondo molti è un candidato credibile, giovane e con un ottimo background calcistico. In Asia ha lavorato molto bene per la promozione del football e per la creazione della Waff; l’idea di inserire della Federazione anche il Qatar ha fatto piuttosto piacere ai grandi sponsor economici e politici. I campionati del mondo femminili Under 17 si svolgeranno in Giordania nel 2016 e Ali Bin al Hussein si è battuto per dare maggiore impulso al calcio femminile asiatico. Un vero tabù, considerando che Kuwait, Yemen, Oman ed Emirati Arabi Uniti non hanno allenatori donne e che i leader religiosi dell’Arabia Saudita e del Qatar ritengono che il gioco danneggi l’imene delle ragazze. Al contrario, Blatter le vorrebbe sempre più discinte per rendere il tutto mediaticamente eccitante.

 

Contraddizioni. Come quelle del principe Ali che se da una parte ha revocato il divieto per le calciatrici di fede islamica d’indossare lo hijab durante le partite, circa tre anni fa non ha alzato un dito di fronte agli scontri tra polizia e tifosi durante un match del campionato giordano, durante i quali un fotografo che riprendeva gli incidenti è stato picchiato e arrestato. Qual è il suo concetto di governance e trasparenza, si chiede sul blog transparencyinsport.org il giornalista investigativo scozzese Andrew Jennings, che insegue da anni Blatter per inchiodarlo per gli scandali che lo hanno riguardato. C’è poi un precedente che lega i due. Quando il sudcoreano Chung Mong-joon, appartenente alla famiglia che controlla la Hyundai, ha iniziato a fare la guerra a Blatter, minacciando di candidarsi contro di lui e rinfacciandogli lo scandalo delle tangenti da International Sport and Leisure, questo ha accreditato Ali Bin al Hussein in Asia facendolo eleggere quale vice presidente Fifa al posto di Chung. Il 29 maggio ci sarà anche un terzo candidato, il francese Jérôme Champagne, forte dell’aver proposto un programma serio e dettagliato. L’impressione è che Blatter voglia utilizzare Ali contro il diplomatico francese per ottenere facilmente la quinta conferma. Sono in molti a pensare che i numeri siano troppo schiaccianti per qualsiasi avversario e che alla fine, come sempre, vincerà Blatter.

 

[**Video_box_2**]Sebbene per l’islam più estremista (vedi i talebani, così come per i guerriglieri di al Shabaab) il calcio sia cosniderato peccato, opposto al diritto islamico, si tratta di uno sport con un enorme seguito nel mondo arabo. A livello internazionale poi, la forza economica e invasiva del Qatar, attraverso il Qatar Sports Investments, ha portato all’acquisto del Psg; l’Abu Dhabi United Group for Development and Investment (Emirati Arabi Uniti) invece ha messo le mani sul Manchester City; al Jazeera si è buttata sui diritti televisivi della Premier League e della Liga e in Francia spadroneggia con i canali BeIN Sport. I mondiali del 2022, che si disputeranno a Doha (come la finale di Supercoppa italiana) e dintorni, stravolgeranno come mai prima nella storia il calendario del football internazionale e il Real Madrid, per essere libero di fare affari a Dubai, è stato costretto a togliere la croce dal logo del club. Il Qatar Sports Investments intanto ha incontrato il governo britannico per investire in Inghilterra, smentendo però l’acquisto del Tottenham Hotspur. Ali Bin al Hussein è la classica espressione dell’islam moderato, che ha studiato in Occidente e che ha investito quelle competenze nel proprio continente. Difficile dire se voglia veramente conquistare lo scranno più alto del calcio mondiale o se sia l’ennesima pedina di Blatter. Una cosa, però, è certa: il football ai massimi livelli si fa con i soldi e gli arabi ne hanno già comprato una fetta importante.

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