Elio Germano all'ultima Mostra del Cinema di Venezia

La sfida dei diritti d'autore sveglia l'indole liberista degli attori italiani

Michele Masneri

Elio Germano e l’inefficienza dei carrozzoni pubblici. Gli artisti arrabbiati si mettono in proprio. Gli artisti arrabbiati non vogliono più che lo stato si occupi dei loro diritti d’autore e si scoprono turboliberisti.

Roma. Gli artisti arrabbiati si mettono in proprio. Gli artisti arrabbiati non vogliono più che lo stato si occupi dei loro diritti d’autore e si scoprono turboliberisti. In tanti si erano chiesti che cosa significasse quel pugno alzato di Elio Germano, paladino dei millennial okkupanti, in gondola a Venezia nell’ultimo Festival del cinema, con una t-shirt e quel numero, “7607”.
Si pensava a una nuova cooperativa di radiotaxi forse operante solo al Pigneto e in quota Tsipras. Invece sempre cooperativa è, ma si occupa d’altro; cioè dei “diritti connessi ai diritti d’autore”, quindi le royalty che gli attori prendono ogni qual volta un film passa in replica televisiva o viene scaricato da internet. Fino a qualche anno fa questa speciale categoria di diritti di passaggio andava a finire in un grande calderone chiamato Imaie (Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori) che raccoglieva il tesoretto da tv, radio (c’entrano anche i diritti d’autore dei musicisti) salvo poi molto spesso “scordarsi” di distribuire i proventi ai legittimi proprietari.

 

Il grande calderone era talmente inefficiente che nel 2009 il prefetto di Roma l’ha messo in liquidazione in quanto “estinto per constatata e perdurante incapacità di raggiungere gli obiettivi statutari”. Mentre ancora bloccati sono i 118 milioni di euro di diritti da distribuire (non distribuiti), che rimangono in capo all’Istituto.

 

Il funzionamento del sistema lo spiega al Foglio Francesco Schlitzer, autore del libro “Imbizzarriti” (Contrasto editore) che verrà presentato oggi a Roma allo spazio Fandango insieme a Gian Antonio Stella e Neri Marcorè, e che racconta di come gli artisti impegnati sono riusciti a battere i sindacati e a diventare piccoli imprenditori. “Il vecchio meccanismo funzionava un po’ come la lotteria Italia – dice Schlitzer – Se il vincitore non viene rintracciato, il montepremi resta al monopolio”. Il monopolio degli attori, impegnati e non, era stato voluto da Cgil, Csl e Uil, negli anni Settanta. “E l’Imaie cercava, forse senza molta convinzione, i detentori dei diritti: se non li trovavano, questi soldi andavano a finanziare progetti culturali più o meno rilevanti, a discrezione dell’istituto. Tra cui, spesso, anche sagre di paese, o progetti ‘culturali’ degli amici degli amici” continua Schlitzer. “Il resto andava in costi di gestione esorbitanti”.

 

Nel 2010, afffossato il vecchio Istituto, viene ricreato per legge un “Nuovo Imaie”, un clone finalizzato allo scopo di salvaguardare i 40 dipendenti; e il clone affitta i locali del vecchio Imaie, e sta al piano di sopra, al quartiere Macao: mantenendone consiglio d’amministrazione e dirigenti. Allora gli attori impegnati non ci stanno; invece che okkupare il palazzone di via Piave, come un cinema America o un Teatro Valle qualunque, si mettono in proprio con spirito disintermediatore molto renziano, approfittando delle liberalizzazioni.

 

[**Video_box_2**]La legge 27/2012 chiarisce infatti definitivamente che gli artisti hanno (e avevano anche prima) il diritto di scegliere a chi affidare la gestione dei propri diritti patrimoniali privati poiché il mercato dei diritti connessi era ed è libero. Un anno dopo, dopo vari incontri clandestini al Contestaccio, locale di musica dal vivo romano, nasce dunque la Cooperativa 7607, composta, oltre che da Elio Germano, anche da Urbano Barberini, Claudio Santamaria, Neri Marcorè, e Cinzia Mascoli che ne è presidentessa (per la cronaca, 7-6-07 è la data di nascita dello Statuto europeo degli artisti).

 

La coop liberista nasce per combattere contro i monopoli statalisti, ma anche per ripartirsi in maniera più efficiente i diritti d’autore che cominciano a salire. “Quello delle repliche è un mercato in forte crescita – dice Schlitzer – Fino agli anni Novanta era un business ridicolo, ma adesso tra le repliche, gli on demand di Sky, gli streaming online, i diritti connessi in Italia valgono 30 milioni di euro l’anno”. Così gli artisti si sono messi in proprio: oltre a 7607, sono nati un’altra decina di soggetti che operano sul mercato, e che vogliono la liberalizzazione totale del settore: con pugno alzato o senza.

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