Perché è urgente che le Banche centrali si parlino

Carlo Pelanda

La scorsa settimana si è intensificata ed ampliata la svalutazione competitiva di una molteplicità di monete. La crescita minore del previsto del Pil statunitense nel quarto trimestre 2014 è stata imputata anche alle difficoltà competitive dovute alla rivalutazione del dollaro contro euro.

La scorsa settimana si è intensificata e ampliata la svalutazione competitiva di una molteplicità di monete. La crescita minore del previsto del pil statunitense nel quarto trimestre 2014 è stata imputata anche alle difficoltà competitive dovute alla rivalutazione del dollaro contro l'euro. Vero o falso che sia, comunque aumentano le pressioni degli attori economici americani per non lasciare troppo spazio alla svalutazione, in particolare, dell’euro. Il punto: la Fed limiterà la svalutazione dell’euro oppure le concederà uno spazio sufficiente? Fino a qualche settimana fa gli scenari scontavano un’ampia disponibilità della Fed, per due motivi: a) l’Eurozona è la seconda locomotiva dell’economia globale e, considerando che la terza, la Cina, girerà con forza decrescente nei prossimi anni e che quella americana non può reggere tutto il traino del mondo, è prioritario che la prima tiri di più, la svalutazione unico modo per rivitalizzarla in un contesto dove governi socialistoidi (Francia e Italia) oppure orbi (Germania) è improbabile la crescita dei mercati interni tramite stimolazioni fiscali; b) la fine del Quantitative Easing in America implica una minor massa di dollari in circolazione, e quindi una minor pompa di capitale per sostenere le Borse globali, che deve essere compensata da un incremento della massa di liquidità in euro, cosa che comporta  la svalutazione della moneta europea per evitare un crollo catastrofico delle Borse stesse (sostenute solo dalla leva finanziaria e non dalla crescita dei profitti reali).

 

In sintesi, fino a poco fa appariva chiaro che per l’America i benefici di una forte svalutazione dell’euro fossero maggiori dei costi. Sarà ancora così nei prossimi mesi? La Fed sta rinviando più del previsto l’aumento del costo del denaro, cosa che fa prevedere una minore rivalutazione del dollaro. Un dollaro meno alto avrebbe l’effetto di bloccare la caduta del prezzo del petrolio (più basso il dollaro, più alto il prezzo e viceversa) che sta massacrando le produzioni via fracking negli Stati Uniti nonché mandando in insolvenza (con pericolo di contagio) le loro architetture finanziarie. Inoltre, una eccessiva rivalutazione del dollaro manderebbe in insolvenza decine di nazioni emergenti che si sono indebitate in tale valuta, la loro moneta nazionale in ribasso. Combinando i motivi per cui all’America conviene una svalutazione dell’euro con effetti rialzisti generalizzati sul dollaro e quelli per cui non le conviene, emerge una prima ipotesi: la svalutazione dell’euro può essere sostenibile e produttiva solo se entro limiti di intensità e di tempo.

 

[**Video_box_2**]Ciò innesca la ricerca di un punto di equilibrio tra la necessità della Bce di reflazionare l’Eurozona via azioni di svalutazione pesante e quella della Fed di non alzare troppo e/o toppo presto il dollaro. In questa materia il punto di equilibrio non può essere una formula statica, ma una dinamica basata sulla gestione convergente e cooperativa tra le Banche centrali che stampano le monete principali. Tale formula di equilibrio monetario internazionale, in teoria, è più che possibile. Ma, al momento, ogni Banca centrale pensa per se e non comunica con le altre. Se la divergenza resta tale, allora è quasi certa una tempesta globale verso fine anno. Ma proprio per questo la rubrica scommette che ad un certo punto di evidenza del pericolo - ci siamo quasi -  scatterà il coordinamento convergente. Tuttavia, l’incertezza e la volatilità resteranno elevate fino a quando ciò non avverrà, disturbando l’azione stimolativa della Bce.

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