Liberoscambismo

Luciano Capone

L’Onu e la nuova lista di Obiettivi del Millennio, chic e sostenibili? Più commercio global è meglio. Le risorse sono scarse. La “casa per tutti” è bella, ma funziona di più spingere sul libero scambio.

Milano. C’è sempre molta attenzione allo sviluppo economico e sociale del mondo, in particolare dei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Siamo nel periodo giusto per fare dei bilanci e guardare al futuro. Il 2015 è l’anno di scadenza degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium development goals), una serie di obiettivi sanciti in una dichiarazione del 2000 che gli stati delle Nazioni Unite si sono impegnati a raggiungere entro quindici anni. Se n’è parlato poco ma i risultati sono molto positivi, gran parte dei risultati sono stati ottenuti grazie alla globalizzazione e alla crescita economica di paesi una volta poveri: dimezzamento della povertà assoluta nel mondo, riduzione della mortalità infantile, della denutrizione, dell’incidenza di malaria, Aids e altre malattie, riduzione delle disuguaglianze. In pochi anni il mondo ha vissuto un progresso materiale mai visto prima nella storia.

 

Ora le Nazioni Unite stanno per decidere i nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable development goals) per il prossimo quindicennio. Se gli obiettivi del Millennio erano 8 suddivisi in 17 voci dettagliate, quelli per lo Sviluppo sostenibile sono 17 suddivisi in 169 voci. Ci sono sempre lo sradicamento della povertà, la riduzione della fame e della mortalità, a cui se ne aggiungono di nuovi come la riduzione dell’abuso di alcol e droghe, il mantenimento della diversità genetica dei semi, l’accesso all’università per tutti, la fine delle discriminazioni di genere, garantire il pieno impiego, implementare il turismo sostenibile e le energie rinnovabili, trasporti accessibili a tutti, case adeguate per tutti e tanto altro ancora. Vaste programme, forse troppo?

 

Scrivere una lunga lista della spesa con i migliori prodotti del supermercato dello sviluppo sostenibile non costa nulla, il problema si pone quando si arriva alla cassa con il carrello pieno. Purtroppo per “comprare” tutti questi utilissimi e nobilissimi prodotti i soldi non bastano, visto che dalla notte dei tempi l’umanità nell’affrontare bisogni e desideri infiniti ha sempre dovuto fare i conti con risorse scarse o limitate. Un approccio più concreto è quello avanzato dall’ambientalista danese Bjorn Lomborg e dal suo think tank, il Copenhagen Consensus. Lomborg, attraverso gruppi di studio di accademici, economisti, studiosi di vari settori e la collaborazione di diversi premi Nobel, ha cercato di fissare le priorità attraverso un’analisi costi/benefici. Siccome i soldi sono scarsi e ogni obiettivo ha un prezzo, è preferibile indirizzare le risorse nel modo più produttivo, verso quegli obiettivi che producono un effetto più benefico. E i risultati pubblicati da Lomborg sono sorprendenti, soprattutto rispetto alle idee pop che dominano il dibattito pubblico. Per esempio per l’inquinamento, piuttosto che finanziare le energie rinnovabili che danno un beneficio di soli 80 centesimi per ogni dollaro speso, sarebbe più efficace migliorare le cucine di miliardi di persone che nei paesi poveri per mangiare bruciano legna e letame in casa: il beneficio sarebbe di 10 dollari per dollaro speso e morirebbero meno persone. Un impatto più alto dei sussidi alle rinnovabili proviene anche dal taglio dei sussidi all’energia fossile (16 dollari). Sul fronte della sanità invece si salverebbero molte più vite combattendo la tubercolosi e la malaria che l’Aids (il beneficio è di quattro volte superiore).

 

[**Video_box_2**]Ma nella classifica degli effetti benefici che vanno generalmente da 0 a 50 dollari, l’obiettivo che ha un impatto nettamente superiore a tutti gli altri è ampliare il libero mercato a livello globale, abbattere dazi e barriere che ostacolano i commerci. Se si attuasse il Doha round, accordo di liberalizzazione da più di un decennio sotto negoziazione nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio, il beneficio sarebbe di oltre 2 mila dollari per dollaro speso, 2 mila volte superiore alla spesa per la “protezione sociale”. Per i paesi in via di sviluppo sarebbe ancora superiore, circa 3.500 dollari; così tali paesi prenderebbero la fetta maggiore dei 5 mila miliardi di ricchezza l’anno prodotta in più. Per il bene dei paesi poveri il mondo dovrebbe mettere ancora una volta il libero commercio in cima alla lista della spesa, ma questo è complicato senza un movimento “Sì Global” e con la gran parte delle organizzazioni non governative, dei governi e dell’opinione pubblica che chiede di spendere soldi per cose dolci ma poco convenienti.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali