Sergio Mattarella (foto LaPresse)

La Dc in sé è morta da tempo, la Dc in te la sta resuscitando Mattarella

Michele Masneri

Oggi, tra il vento che spazza le felci del Grand Hotel Transatlantico, è il giorno della nostalgia e della memoria: la candidatura Mattarella compatta il Pd, fa arrabbiare i berlusconiani, ma soprattutto esalta i vecchi democristiani. Mattarella tira fuori il Dc che è in te.

Dopo la pioggia, il vento. Il primo giorno, per chi ama i presagi, è stato quello del temporale. Il secondo, quello della bufera. Alla fine delle votazioni, passate le 18, si è perfino staccato il tricolore sul pennone più alto del colle più alto, cioè del Quirinale, tra la bandiera dell’Unione europea e il vessillo presidenziale vagamente cubista, ideato da Carlo Azeglio Ciampi nel 2000, e come l’Union Jack issabile solo in presenza del sovrano. Ma, come si sa, la sede è vacante, almeno fino a oggi, quando, per restare ai “si dice” e ai sussurri (grida, poche), dovrebbe essere eletto Sergio Mattarella.

 

Oggi, tra il vento che spazza le felci del Grand Hotel Transatlantico, è il giorno della nostalgia e della memoria: la candidatura Mattarella compatta il Pd, fa arrabbiare i berlusconiani, ma soprattutto esalta i vecchi democristiani. Mattarella tira fuori il Dc che è in te. Alla buvette, Giovanardi (ex Dc) ricorda l’elezione di Pertini; “anche lì la Democrazia cristiana non lo voleva, e allora lui ritirò la candidatura, e allora vinse”. “Non ci possono imporre le cose con questa arroganza” dice l’ex ministro prendendo un caffè. Fuori, nel Transatlantico, ecco Rocco Buttiglione, che tiene a precisare: “Non è proprio il ritorno della Dc, quella è ormai una cosa che appartiene al passato, però diciamo una cosa: quando cerchi una persona integra e capace, non sempre, ma spesso è Dc”, come uno slogan commerciale. “E’ il trionfo della Dc e la fine della cultura post comunista” esulta Paolo Corsini, disobbediente Pd, storico cattolico, che ha appena dato alle stampe una “Storia di Brescia” dal 1861 al 1992, la città che ha dato tanti democristiani di sinistra spigolosi e pragmatici al Regno, al Papato, alla Repubblica. Da Giuseppe Zanardelli presidente del Consiglio che fece fare il Vittoriano tutto in marmo di Botticino, facendo incazzare i marmisti romani e i produttori di travertino, a Papa Paolo VI, cattolico molto adulto che all’ambasciatrice americana Clare Booth Luce che paventava i comunisti al governo rispose un giorno: “Signora, non deve convincermi, sono cattolico anch’io!”. A Mino Martinazzoli, esecutore testamentario proprio della Balena bianca e testimonial dc malmostoso-cupo di cui si è perso lo stampo.

 

“Però Martinazzoli era un’altra cosa”, dice Rosy Bindi seduta in poltrona nel Transatlantico con un giacchino pied-de-poule e aria sorniona, facendo intendere di stare chattando da diversi giorni con Mattarella (a un certo punto per lapsus dice “ci stiamo massaggiando”, creando imbarazzanti immagini mentali nei presenti) nella sua stanzetta di cinquanta metri quadri tipo sottoscala della Corte costituzionale. Qui vengono fuori anche birignao e manie dc d’epoca, la frugalità dell’alloggio: tornano alla mente le vacanze dalle Orsoline del Sacro Cuore di Cortina di Andreotti (e della stessa Bindi); e Corsini dice che lui abita da dei buoni frati barnabiti, qui a Roma, ci danno la chiave, la sera, non danno fastidio, si spende poco. Daje a ride. “E’ il trionfo dei cattolici democratici! Quelli che voi del Foglio odiate!”, dice Rosy Bindi, esaltata. Facendo dei distinguo, anche. “Martinazzoli era un misantropo, invece Mattarella no. E la moglie era simpaticissima, piena di battute, il contrario di lui”. Sempre daje a ride. E poi un gossip cattivo: “Poi suo figlio, Bernardo Mattarella, è il capo del legislativo della Madia”. Al nome Martinazzoli comunque si mette sull’attenti Gregorio Gitti, già Scelta civica e poi Pd, ma soprattutto genero del first banchiere d’Italia, il brescianissimo Giovanni Bazoli, e figlio di Ciso, anche lui dc in purezza, vicepresidente della Camera, già avvocato nello stesso studio di Martinazzoli. La Dc bresciana era scarpinate e sofferenze gratuite, e grandi collezioni d’arte in famiglia, ma guai a mostrarle.

 

[**Video_box_2**]E’ un mondo vagamente giansenista, una specie di simmetrico esistenziale della Palermo barocca e sofferente di Mattarella. Comunque “è il trionfo della Dc di sinistra”, dice Gitti, e i più giovani tra i cronisti si interrogano: ma sarà corretto definire il presidente in pectore catto-comunista? Si va a studiare su Wikipedia, c’è un sito apposito sulle correnti Dc, evidentemente sono dubbi che attanagliano molti. Anziani colleghi pazientemente spiegano: assolutamente no, era la corrente della “Base” Dc, non morotea né dorotea, bensì nata attorno al giornale la Base, edito da Giovanni Marcora, attorno a cui gravitavano, oltre a Martinazzoli, anche De Mita e Nicola Pistelli, papà di Lapo. “Ma Mattarella non era della Base, era degasperiano”, precisa un altro anzianissimo. E tra forfore e vecchi merletti, mentre tutti fan finta d’essere stati iscritti alla Balena bianca, nel giorno dell’orgoglio dc, mentre Sergio Zavoli (fondato nel 1923) fa il suo red carpet, il pensiero corre a Silvio Berlusconi, che oggi se ne sta a Cesano Boscone. Davvero per stavolta i giudici avrebbero potuto dargli il permesso: perché di anziani ce ne sono molti di più qui. Passa Zavoli, con bastone, elegantissimo, regale, sembra Benedetto Croce. C’è Francesco Merloni (anno di fondazione: 1925), democristiano, della dinastia dello scaldabagno, già ministro dei Lavori pubblici, e perfetto sosia di Breznev. E in odore di Urss, Corsini prima di tornare dai suoi frati barnabiti come un onorevole dc anni Cinquanta cita Berlinguer: “La Rivoluzione d’Ottobre ha perso definitivamente la sua spinta propulsiva; il compromesso storico non l’ha mai persa!”.

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