Lo stabilimento Tirreno Power di Vado Ligure

Tirreno Power, quel documento che può sgonfiare l'attivismo anti industrialista

Alberto Brambilla

La perizia regina che smonta l’inchiesta Tirreno Power è nelle mani dai giudici. Percorso documentale lungo le perizie, le controperizie e gli atti giudiziari (con indizi su quelli secretati).

Roma. La prova regina che demolisce dalle fondamenta l’inchiesta che ha messo i sigilli alla centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado Ligure è tenuta sotto chiave dagli stessi magistrati inquirenti che, ovviamente, hanno tutto l’interesse a mettere in giro voci false sulla sua inesistenza.

 

La faccenda è nota e Il Foglio ve l’ha raccontata da subito in questi termini (la balla corre) ricevendo ulteriori riscontri dai dipendenti dell’azienda: la centrale di Vado è sotto sequestro dal marzo scorso e rischia la chiusura dopo mesi di inattività, trascinando con sé 600 famiglie da esse dipendenti e peggiorando la situazione economica dell'ultima provincia d'Italia per potere d'acquisto.



Diversi documenti smentiscono direttamente o indirettamente la tesi dell’accusa e sfidano le perizie sulla quale essa si basa quando tentano di provare un nesso causale certo tra centinaia di decessi e patologie cardio-respiratorie e le – sole – emissioni prodotte degli impianti a carbone combustibile della centrale, quelli sequestrati. Sono documenti redatti sia prima sia dopo l’inchiesta. Una è l’indagine epidemiologica sul territorio savonese dell’Istituto nazionale sui tumori del 2008 (qui), l’altra è una valutazione metodologica sulle perizie dell’inchiesta stessa, sempre a cura dell’Ist, del luglio 2014 (qui e qui)Ormai è chiaro procura di Savona ha l’unico inconfessabile proposito di chiudere la ditta in quanto foriera di morte e malattie: ogni giorno di apertura è un giorno di sterminio. E’ quindi logico che la magistratura sia (iper)attiva su più fronti, extra-giudiziari compresi, pur di riuscire nell’intento.


La notizia bomba della settimana scorsa, una delle tante, è che il numero degli indagati è arrivato a quarantasette persone. Tra questi, oltre a cinque ex dirigenti, ci sono dei rispettati funzionari del ministero dell’Ambiente e della regione Liguria che avevano in comune la stessa identica colpa: essersi occupati della centrale. C’è chi può essere sospettato di negligenza. Ma c’è chi è indagato solo per avere contribuito a redarre una nuova Autorizzazione integrata ambientale necessaria a fare ripartire l’azienda con gli impianti riconvertiti secondo i migliori standard ambientali europei (qui il resoconto delle convocazioni in procura in concomitanza con importanti riunioni sull’Aia tra enti locali e comitato istruttore, processo legislativo che non attiene all’autorità giudiziaria).

 

Venerdì scorso, il presidente della Regione, Claudio Burlando, una volta appreso dalla stampa di essere nell’affollato registro – ovvero potenzialmente complice del reato di disastro –, ha gridato ai quattro venti che esiste un documento dell’Istituto superiore della Sanità che “scagiona" la centrale e di fatto "smonta" le perizie dei consulenti di parte scelti dalla procura sulle quale si basa il provvedimento di sequestro preventivo risalente all’11 marzo scorso (qui il decreto di sequestro).


Nessuno sa, nessuno trova il dossier. Anzi. Sul Secolo XIX Burlando viene sbertucciato alla grande (“documento fantomatico”, “mito metropolitano”). Il quotidiano genovese, tra le righe ma non troppo, insomma informa che il ministero della Sanità “smentisce” l’esistenza del dossier attraverso fonti della procura.

 

Cosa dirà mai questo pezzullo di carta? In fondo, sono solo "tre paginette", ci diceva il Sole 24 Ore del 14 novembre scorso senza andare oltre. Eppure il documento non salta fuori, qualcuno l’ha letto ma nessuno può divulgarlo.  Il motivo è semplice: le tre paginette killer sono agli atti nel procedimento penale della procura di Savona e non possono essere messe a disposizione delle parti, né di nessun altro, finché l’inchiesta non è chiusa per evitare di condizionare i giudici inquirenti. Chi li pubblica rischia l’incriminazione per pubblicazione di segreto. Chiedere di ottenere il dossier all’Istituto superiore della Sanità sarebbe inutile, risposta ovvia e rituale: non è possibile accogliere la richiesta d’accesso agli atti.

 

[**Video_box_2**]Ma cosa dirà mai questo papello? Possiamo immaginare che dica più o meno le stesse cose di un documento dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro che, con la consulenza di esperti, ha evidenziato i punti critici dell’intera perizia (qui).

 

Possiamo dunque soltanto immaginare che usi toni gentili ma tuttavia affermi, magari attutito da una premessa benevola, che  la metodologia usata dai periti per raggiungere quei risultati è talmente superficiale e mal argomentata da non potere consentire un serio giudizio complessivo: l’approccio proposto inoltre, questo è noto, non è validato da nessuna pubblicazione internazionale di rango – come s’addice a qualsiasi ricerca scientifica seria che abbia l’ambiziosa pretesa di stabilire un nesso causale di quel tipo e portata –, i campioni sono scelti in modo casuale, i ricoveri ospedalieri contati più volte e mescolati senza criterio, non vengono prese in considerazione tutte le altre possibili fonti inquinanti nell’area. Insomma è un guazzabuglio, e lo dicono (direbbero...) i tecnici del ministero della Salute.  

 

Il documento sbucherà mai? Difficile dirlo. Da quanto si deduce la strategia migliore, mettendosi nei panni della procura di Savona, reggente Francantonio Granero, sarebbe quella di tenere l’inchiesta in caldo per il maggiore tempo possibile – doveva essere chiusa a dicembre, poi prorogata – o almeno finché non si avrà certezza matematica della chiusura definitiva della Tirreno Power, ormai prossima. Chiuderla prima del decesso aziendale, significherebbe rivelare al pubblico un atto essenziale capace di sbriciolare (coi fatti) l’inchiesta stessa. 

 

Le mosse “strong” della procura savonese, condite da eterodosse intrusioni in ambiti diversi da quello giudiziario, potrebbero dunque tornare a stupirci.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.