Perché il Governo fa bene a occuparsi di “abuso fiscale”

Enrico Nuzzo

Consigli non richiesti per epurare da bizantinismi e “furbizie” l'attuazione della delega fiscale, scongiurando vere sevizie cui soggiace, da più di qualche decennio, il contribuente italiano.

Perché il Governo fa bene a occuparsi occupa di “abuso fiscale”
L’utilizzazione distorta delle disposizioni di leggi fiscali determina quelle situazioni cosiddette di “abuso del diritto”, talvolta rinvenute nelle attività di imprese (riorganizzazioni aziendali, rapporti tra società dello stesso gruppo, eccetera) e nella vita degli affari. Il Consiglio dei ministri del 24 dicembre scorso ha licenziato un testo che sembra tenere ampiamente conto di quanto segnalato su questo giornale lo scorso luglio, sulle soluzioni da adottare in materia: unicità del concetto di abuso del diritto e/o elusione fiscale ed impossibilità per il giudice di contestarla d’iniziativa, nel processo; sua definizione coerente con le norme comunitarie: vantaggio fiscale indebito, a seguito di operazioni prive di sostanza economica, perché “apparenti” e di pura facciata.

 

Perché alcune scelte dell’esecutivo hanno un gusto “sadico”
Le regole elaborate, ed estese anche al mondo delle professioni, sono curiosamente inserite nel corpus dello Statuto dei diritti del contribuente: svista o scelta “sadica”, visto che si dettano misure afflittive e non riconoscimenti di diritti? Discutibile pure l’idea di ridurre ad  un’unica norma generale ogni ipotesi di abuso, piuttosto che delimitare i confini tra consentito e censurabile, caratterizzando e qualificando specifici comportamenti, in maniera analitica e puntuale.

Le operazioni prive di sostanza economica, nel testo di cui sopra, sono ravvisate – si dispone – ne “i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali” conseguiti “in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento  tributario” e idonei a divenire proventi da abuso, se non riconducibili alla violazione di altre apposite disposizioni. Una scelta imprenditoriale che non comporta alcuna violazione di legge, a seconda del modo in cui viene ricostruita ed intesa dagli operatori tributari, può far configurare e, conseguentemente, contestare l’abuso se vi si associa un “vantaggio”, un beneficio fiscale “indebito”, sol perché così ritenuto dai funzionari preposti. La formula adottata è, difatti, idonea a far sostenere tutto ed il suo contrario e, per di più, è addirittura azionabile in via residuale.  Con una levata d’ingegno, si sono abilitati i verificatori del fisco a tirare in ballo il vantaggio indebito, una volta constatata l’impossibilità di fare altro. Si sentiva proprio la mancanza di una “clausola di salvaguardia” per legittimare recuperi d’imposta in linea con obiettivi di budgets decisi a “tavolino”e tradotti in cifre in occasione di verifiche a contribuenti! È questo il modo di stimolare la crescita, cui le disposizioni in questione pure sono mirate?

 

[**Video_box_2**]Perché l’incertezza frena l’afflusso di capitali in Italia
Un paese normale prefigura, con precisione, i confini del consentito e del lecito. Prescrive indicazioni puntuali ai suoi destinatari, definisce esattamente le condotte passibili di censura, sanziona proporzionalmente i trasgressori di regole: non affida a ipotesi nebulose, inevitabili in ogni norma generale, le qualificazioni del lecito e dell’illecito dei momenti significativi della gestione d’impresa. È, perciò, necessario calibrare le fattispecie di abuso sulla condotta del contribuente, ponendo un argine a eccessi e arbitri degli organi accertatori che non trovano addentellati in essa e che, se coltivati, cancellano stimoli a fare impresa, sollecitano la ricerca di siti nei quali il buon senso non è in esilio, diventano intralcio aggiuntivo all’afflusso di capitali in Italia.
La legislazione di cui si discorre, nei moderni sistemi giuridici al centro delle valutazioni imprenditoriali, indirizza decisioni e scelte d’investimento, sempre più attratte da regole del gioco certe, chiare, semplici, lineari, comparabili con quelle di altri stati. Essa, perciò, va concepita con assennatezza ed equilibrio, senza spiragli per scelte arbitrarie che, “all’occasione” e come esperienza insegna, si  trasformano in “paracadute” per gli agenti del fisco. Dietro l’angolo, con la soluzione recepita nel testo del Consiglio dei ministri, ci sono accertamenti d’imposta imperniati su convenienti (ma fondate?) ricostruzioni e rappresentazioni di vantaggi  indebiti, connessi ai suddetti “atti, fatti, negozi”. Per evitare che questo accada è imperativo definire e delimitare, in maniera puntuale, le singole fattispecie, precisando – si è in tempo! - se e in qual modo si realizzano violazioni di princìpi e regole dell’ordinamento,  delineando connotati nitidi delle condotte foriere di  “abuso”, anche  sulla scorta della casistica giurisprudenziale esistente. Si potrà perseguire, per questa via, l’obiettivo della compiuta e determinata disciplina della materia, rendendo plausibili, pure oltre confine, regole impositive, per questa parte, epurate da bizantinismi e “furbizie”, vere sevizie cui soggiace, da più di qualche decennio, il contribuente italiano.

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