Beppe Grillo (foto LaPresse)

Così Renzi ha rinchiuso Grillo nella riserva dei “vorrei ma non posso”

Marianna Rizzini

Da due giorni il M5s e il comico genovese (sul suo blog) si comportano come se nulla fosse accaduto in questi quasi due anni di realtà surreale a cinque stelle. E sorge un altro problema da accerchiamento renziano: come fare a contare qualcosa senza dare l’impressione di cedere?

Roma. “Renzi è un baro”; “l’elettore-tipo del Pd o è un broker o è della banda della Magliana”; “la lettera di Debora Serracchiani è un depistaggio”: da due giorni il M5s e Beppe Grillo (sul suo blog) si comportano come se nulla fosse accaduto in questi quasi due anni di realtà surreale a cinque stelle. Quasi due anni in cui i sedicenti spaccatutto dei meet-up e il loro Barbablù-ex comico, in compagnia del guru Casaleggio in partenza per il pianeta Gaia e dell’armata un po’ giuggiolona dell’anti casta sul web, sono via via passati dal “tutti a casa” al non sapere come fare a uscire dall’irrilevanza, nonostante il 25 per cento conquistato alle politiche. Non solo infatti il cosiddetto “Renzie”, bersaglio del Grillo in blues al Circo Massimo (malinconica kermesse grillina di quattro mesi fa), non è stato battuto alle europee. Non solo Grillo s’è dovuto prendere il metaforico “maalox”. Piano piano Grillo ha dovuto vedere un “Renzie” che scippava ai Cinque stelle il materiale sensibile, dalle campagne sui giovani “puliti” al comando alle ruberie da combattere (vedi la nomina di Raffaele Cantone all’Anti corruzione, con gran contorno di dichiarazioni renziane contro i ladri di soldi statali e con parallelo voto parlamentare a favore dell’arresto del deputato pd Francantonio Genovese). E a quel punto Grillo tuonava contro Cantone che sull’Expo “non sapeva nulla”, nonostante i suoi parlamentari avessero votato a favore della nomina e nonostante avessero appena incontrato Cantone in Parlamento.

 

Ma ieri, nel giorno del mezzo-dramma sull’Italicum, con ventinove senatori della minoranza pd fuori dall’Aula, con gli ex Cinque stelle (espulsi o fuoriusciti) pronti ad accodarsi e con l’elezione del presidente della Repubblica minacciosamente vicina, i Cinque stelle dicevano che mai e poi mai avrebbero acconsentito alla proposta della vicesegretaria pd Debora Serracchiani (“allora lo votate il premio alla lista che voi stessi ci avevate proposto in streaming?”, era la domanda, secondo alcuni renzianamente maliziosa). E ai Cinque stelle toccava dire “no” per restare puri agli occhi dei più puri (e agli occhi della Casaleggio Associati, che ieri chiamava in “riunione” i capigruppo del M5s Andrea Cecconi e Andrea Cioffi. All’uscita dalla riunione, però, i due assicuravano agli attoniti astanti di non aver parlato né di legge elettorale né di elezione del presidente della Repubblica). “No, no e no al Pd”, dicevano dunque i Cinque stelle, anche se, a forza di dire no a tutto, appare ormai vano lo sforzo, profuso in estate, di apparire ragionevoli come dei “Ragazzi della Terza C” domati dal preside, e dunque come Danilo Toninelli e Luigi Di Maio nello streaming M5s-Renzi del 25 giugno 2014, con il primo nel ruolo di colui che recita bene la lezione e con il secondo nel ruolo di colui che un po’ cede ma non molla.

 

E però non è da oggi che la terra sfugge sotto ai piedi dei Cinque stelle, ex protagonisti sdegnosi delle trattative post elettorali con l’ex segretario pd Pier Luigi Bersani (che, a differenza di Renzi, li aveva inseguiti per ottenere un sì – ora invece li si costringe a dire il “no” che rende più difficile la discesa dalla turris eburnea in cui Grillo li ha rinchiusi a suo tempo, buttando via la chiave).

 

Lo streaming in sé, poi, è stato suggello di disastro e specchio di tragicomico impaccio (non solo e non tanto agli albori, con Roberta Lombardi e Vito Crimi e il processo farsesco al senatore Marino Mastrangeli, reo di partecipazione a un talk-show e protagonista di un’autodifesa dal piglio fieramente ciociaro). Il momento di non-ritorno dello streaming è stato dopo la vittoria di Renzi alle primarie pd del 2013, e dopo la sua ascesa a Palazzo Chigi (primo grave momento d’imbarazzo grillino: Renzi che nel dicembre 2013 dice “caro Grillo sulla riforma elettorale e le altre riforme firma qui”. Secondo momento: Renzi che, intervistato dal Fatto, a inizio 2014, insiste sul tema del “che peccato se i Cinque stelle si limitano solo a protestare”). Grillo non firmava nulla, ma da allora l’atto mancato incombe: ogni volta che un Cinque stelle accusa un renziano di intendenza col “nemico” (Silvio Berlusconi), il renziano dice “ma noi avevamo proposto a Grillo di collaborare”. Con il Renzi premier, nel febbraio 2014, la rete, già percorsa da insofferenza per i “no” del comico (intento forse a vagheggiare, tra sé e sé, quel ritiro a vita privata che ieri minacciava in un’intervista al quotidiano spagnolo Abc), si era espressa contro il volere del comico stesso: Beppe devi andare all’incontro con Renzi in streaming, aveva detto il web. E Grillo ci era andato facendosi sei ore di macchina, all’incontro, ma dopo dieci minuti di nulla se n’era andato (un Renzi non agguerrito gli aveva detto “esci da questo blog”, e però poi di Grillo aveva fatto tranquillamente a meno).

 

[**Video_box_2**]Ma è all’appropinquarsi della scadenza-Quirinale che a Casa Grillo sorge un altro problema da accerchiamento renziano: come fare a contare qualcosa senza dare l’impressione di cedere? Ecco dunque il rinvio delle Quirinarie online, con gran dispiacere del professor Paolo Becchi, il quale ieri, sul Corriere della Sera, ha scritto una lettera per ricordare i fasti della candidatura Rodotà (tà-tà): fatele subito, le Quirinarie, ha detto ai Cinque stelle, decisi invece (per ora) a non legarsi preventivamente a una lista uscita dal web, visto anche il recente “incidente” sul nome di Romano Prodi (qualche giorno fa qualcuno ha fatto notare che sarebbe stata dura, per il M5s, votare Prodi, pur emerso dalle precedenti Quirinarie: il Professore, infatti, è “macchiato” da una posizione pro euro che cozza contro il no all’euro urlato da Grillo). E non importa che, al momento, Prodi non sia più in cima alla lista dei presidenziabili: in dicembre il Prodi “riserva” dei sogni grillini era stato a colloquio con Renzi a Palazzo Chigi, e in estate aveva scambiato pubbliche missive con Renzi sul Messaggero (tema: l’industria italiana), motivo per cui anche Prodi, già da tempo, era diventato terreno troppo renziano per poter essere percorso. Per non dire del grido anti arraffoni, un tempo cavallo di battaglia grillino: prima di Natale Renzi ha lanciato la “lotta dura” ai tangentari. E allora a Grillo non resta che buttarsi sulla “Notte dell’onestà”, in scena a Roma sabato 24, con gli attori dei vari “romanzi criminali” che, come in un film di Woody Allen, escono dallo schermo e, invece di interpretare i belli e dannati, si mettono a leggere, bravi scolaretti, le intercettazioni dell’inchiesta “Mafia Capitale”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.