Perché gli illuministi oggi non sarebbero affatto tolleranti con l'islam

Antonio Gurrado

Errore da matita rossa: l’Europa non sta restando vittima della sconfitta dell’illuminismo, ora che i valori occidentali vengono sovvertiti dalle infiltrazioni islamiche, né è colpa dell’illuminismo avere tollerato quest’attecchimento.

Errore da matita rossa: l’Europa non sta restando vittima della sconfitta dell’illuminismo, ora che i valori occidentali vengono sovvertiti dalle infiltrazioni islamiche, né è colpa dell’illuminismo avere tollerato quest’attecchimento. La responsabilità va cercata piuttosto in un’interpretazione post illuministica che va grosso modo da “Per la pace perpetua” di Kant alle teorie politiche novecentesche di John Rawls e che voleva essere estensiva ma si è rivelata, ai fatti, limitativa e micragnosa. Quest’interpretazione ha tentato di tradurre l’idea illuministica di “tolleranza” nel più vasto concetto di “neutralità”; ossia si è proposta di trasformare il principio che le diverse religioni minoritarie andassero tollerate, all’interno di uno stato in cui la religione più diffusa garantiva comunque il pacifico esercizio di culti differenti, nel tentativo di trovare un algoritmo per il quale la convivenza delle religioni, quali che siano, possa essere garantita allo stesso modo da qualsiasi stato in qualsiasi tempo. Così sono crollati tre capisaldi dell’illuminismo francese.

 

Anzitutto la specificità. L’illuminismo non parlava di situazioni ipotetiche eterne ma di dati geopolitici concreti, quindi si proponeva di rispondere a domande specifiche: l’islam può essere tollerato, qui e ora? Qual è la vera patria di un ebreo di Bordeaux? Il potere temporale dei Papi è vantaggioso per un suddito di Luigi XV? In questa specificità sta l’apparente contraddizione dell’illuminismo francese, i cui esponenti sembravano passare di volta in volta dall’essere benevoli all’essere ostili verso il medesimo culto: poiché non cercavano di trovare l’equazione della tolleranza universale ma di capire in quali luoghi e in quali momenti una determinata religione andasse tollerata, e in quali no.

 

Inoltre l’illuminismo francese era una cultura priva di ufficialità accademica. Nessun philosophe aveva una cattedra universitaria ma tutti combattevano la propria battaglia nel sottobosco di pubblicazioni corrosive, anonime o clandestine. Rinchiudere l’illuminismo nelle facoltà, con professori che ricercano l’algoritmo della neutralità religiosa, è un travisamento se non un tradimento. Coi loro scritti divulgativi o satirici gli illuministi cercavano infatti di diffondere la tolleranza negli strati produttivi della società francofona – fra le persone per bene della nascente borghesia – ponendoli di fronte a una domanda cardine: l’esercizio di questa particolare religione contribuisce o no allo sviluppo economico e culturale della particolare società in cui viviamo? Nessuna religione andava tollerata per diritto pregresso e tutte le religioni avevano il dovere di cooperare al bene della nazione, se volevano essere tollerate.

 

[**Video_box_2**]Questo porta al terzo punto. L’illuminismo non ha mai separato la tolleranza dall’intransigenza. Se una religione diventa un fattore di disordine all’interno di una nazione, va estromessa senza distinguo fra ali estreme e ali moderate. Se una religione prevede l’applicazione letterale di norme rivelate lesive della pace, del benessere e della prosperità di uno stato, l’esercizio di tale culto diventa reato penale. Il motto con cui Voltaire concludeva le proprie lettere era “écrasez l’Infâme”: l’infame che causava morte e terrore a una nazione andava schiacciato, distrutto, annientato; dimenticarlo è un errore da matita blu.

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