L'attacco dei fratelli Kouachi alla redazione di Charlie Hebdo

Ignazio il misericordioso

Quei “ragazzi turbolenti” che ammazzano non sono l'islam

Redazione

La sconcertante sociologia della Civiltà Cattolica che assolve il terrorismo.

Roma. Per evitare che tremila occidentali vadano in Siria per fare il jihad o che entrino nelle redazioni dei giornali con il kalashnikov in mano, basterebbe curare di più l’educazione nei quartieri difficili, sostenere le famiglie più fragili, organizzare le zone urbane periferiche. E’ la ricetta della Civiltà Cattolica presentata nell’editoriale che apre l’ultimo numero della rivista dei gesuiti italiani. Aiuole ben curate e piste ciclabili, dunque; strade e piazzette illuminate e i fratelli Kouachi, i killer dei redattori di Charlie Hebdo, saranno solo un caso isolato, una triste parentesi nella storia contemporanea. L’islam – quello definito “normale” dall’omologa nostrana di Etudes, la rivista che aveva pubblicato, salvo poi far marcia indietro, le vignette di Charlie Hebdo su Benedetto XVI e Francesco e Cristo crocifisso – infatti, non c’entra nulla con ciò che è accaduto a Parigi, Tolosa, Londra, Madrid né con quanto stava per accadere a Bruxelles prima che i servizi locali procedessero al blitz nelle cittadine di Villvord e Verviers, nei dintorni di Liegi. E neppure con l’abbattimento delle Torri gemelle a New York, l’11 settembre del 2011. “Occorre innanzitutto riconoscere da dove questa violenza non viene. Non vi è correlazione diretta con l’immigrazione musulmana”, chiarisce subito il periodico diretto da padre Antonio Spadaro, che poco dopo ribadisce il concetto, spiegando che gli attentatori sono semmai “nemici della democrazia, lupi solitari legati a gruppi organizzati a livello internazionale, formati alla violenza più crudele e dormienti per anni”. “Questi attentati non sono legati in alcun modo alla pratica normale dell’islam: tutti i gruppi musulmani hanno chiaramente e fortemente denunciato questi estremismi, compresi quelli dei paesi musulmani. Del resto, essi ne sono le prime vittime collaterali”.

 

“La disoccupazione porta a gesti estremi”

 

Bisogna scavare in profondità, cercare le cause e non fermarsi ai colpevoli, siano essi Amedy Coulibaly o Mohammed Merah. Cause che sono tante, dai “fattori personali” alle “situazioni nazionali”, fino a quel “contesto internazionale” in cui s’è sviluppato un “estremismo violento” da cui sono spuntati al Qaida, Aqmi nel Sahara, Aqpa nello Yemen, Boko Haram e Stato islamico. Movimenti che “hanno tutti in comune il rifiuto dell’occidente, del suo modo di vita, della sua democrazia, del consumismo, della sua maniera di concepire i rapporti uomo-donna e del suo modo di viverli”. Dimentica, la Civiltà Cattolica, che tutti questi gruppi fondamentalisti hanno in comune anche il credo coranico che mostrano sui vessilli issati su vecchie chiese conquistate prima d’essere rase al suolo e sulle jeep scassate con cui entrano nelle città appena cadute sotto il loro controllo.

 

Soprattutto, si legge ancora, “hanno sviluppato una ideologia omicida intorno a un islamismo radicale che vuole eliminare tutti i nemici della visione fondamentalista dell’islam”, e chi segue queste deviazioni dal credo pacifico e moderato è una “persona turbolenta”. Non uno che mette in pratica alla lettera la pena prevista per il blasfemo e miscredente, ma uno squilibrato che ha qualche problema interiore. Se l’islamologo d’origine araba padre Samir Khalil Samir S.I. diceva al Foglio lo scorso 10 gennaio che il dialogo interreligioso odierno “consiste nei musulmani che per prima cosa ricordano che se si verifica qualche attentato è perché si trovano in condizioni sociali difficili”, per la Civiltà Cattolica è proprio quel contesto sociale a giocare un ruolo decisivo nel portare sulla cattiva strada quei ragazzi turbati: “Un miscuglio di problemi, di disoccupazione, di emarginazione, di carcere e di vuoto religioso”.

 

[**Video_box_2**]Tutte condizioni “che possono condurre individui molto fragili a un gesto estremo”. La colpa, si aggiunge, è “della laicità tipicamente francese, che priva lo spazio di ogni dimensione religiosa” e “non aiuta a integrare i problemi spirituali degli individui”. Ma non basta, perché a giudizio del periodico della Compagnia, “questi fatti esteriori non sono sufficienti a spiegare il tutto. Le storie familiari e personali, l’assenza o l’incapacità educativa dei genitori, il tempo passato nelle carceri con effetti spesso devastanti possono condurre alcune personalità fragili o insicure ad attaccarsi a ideologie estreme e a lasciarsi influenzare da amici già estremisti”.

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