Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo

Pasticciaccio a Milano

Redazione

La rissa rusticana che contrappone da mesi il procuratore milanese Edmondo Bruti Liberati e il suo aggiunto Alfredo Robledo non trova soluzione, nonostante i tentativi di metterci una pezza, per la verità piuttosto goffi, da parte del vertice del Consiglio superiore della magistratura.

La rissa rusticana che contrappone da mesi il procuratore milanese Edmondo Bruti Liberati e il suo aggiunto Alfredo Robledo non trova soluzione, nonostante i tentativi di metterci una pezza, per la verità piuttosto goffi, da parte del vertice del Consiglio superiore della magistratura. I due magistrati si sono scambiati accuse di ogni genere, dall’abuso d’ufficio all’uso spregiudicato dei fondi, le hanno argomentate in una serie ormai interminabile di esposti e controesposti. Però pare che non si possa prendere alcuna decisione di merito, perché lo stallo nel rapporto di forza tra le correnti della magistratura associata non lo permette. Così, invece di una soluzione lineare, in cui si capisca chi ha ragione e chi torto, (oppure, come sembra probabile, se abbiano torto entrambi), ci si arrampica sugli specchi per cercare soluzioni trasversali. L’ultima invenzione, escogitata dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, consisteva in un trasferimento a tempo di Robledo a Venezia, da dove sarebbe rientrato a Milano appena fossero scattate le dimissioni di Bruti per raggiunti limiti di età, il 31 dicembre di quest’anno. Però per un trasferimento temporaneo di Robledo a Venezia sarebbe necessario che in questa sede ci fosse una crisi di organico che invece non c’è, così la proposta Legnini si è arenata.

 

Naturalmente l’argomento formale serve solo a coprire l’opposizione delle correnti, quella che non vuole che si escluda fin d’ora una possibile proroga del mandato di Bruti, quella opposta che chiede un giudizio di merito sulle lamentele di Robledo sul comportamento del suo capo. D’altra parte nessuno può garantire a Robledo fin d’ora il rientro a Milano, tutto è legato a una sorta di lodo politico che fa concorrenza alle più sulfuree fumisterie della pattuizione tra partiti. Se un’operazione di questo genere fosse stata realizzata nelle istituzioni elettive si può giurare che l’occhiuta critica della magistratura associata sarebbe stata feroce. Nella magistratura, invece, si possono aggirare i problemi di merito, lasciare marcire le inchieste disciplinari e cercare compromessi dilatori, senza rischiare censure. Legnini, ora che è stata scoperchiata la pentola del suo tentativo di soluzione irrituale, si è messo a ribadire l’esigenza di un pronunciamento sul merito da parte degli organi disciplinari e ha minacciato di passare dal trasferimento temporaneo concordato a quello disciplinare, ma il tono risentito e altisonante della replica serve solo a mettere in luce la distanza tra i nuovi toni apodittici e il merito della proposta precedente, palesemente elusiva dei princìpi che oggi vengono enunciati con tanta solennità. Intanto, sommessamente, si può notare che a Milano da mesi è paralizzata la procura più importante d’Italia, e pure il delicato coordinamento della (famosa) lotta alla corruzione.

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