Alcuni degli operai dello stabilimento Fca di Melfi

Melfi caput mundi

Alberto Brambilla

Metalmeccanico non mediatico picchia i professionisti del “dagli al Marchionne”. Bentivogli di Cisl.

Roma. Non ci sta Marco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici Cisl, 43 anni, a concedere tutto l’onore delle mille assunzioni annunciate lunedì scorso dalla Fiat-Chrysler Automobiles per lo stabilimento lucano di Melfi soltanto all’ad Sergio Marchionne, alle sue azzeccate intuizioni e scelte manageriali. Il merito, sostiene Bentivogli, va condiviso con i sindacati, quelli che firmarono nel 2011 il contratto Fiat per mantere gli stabilimenti in Italia, ovvero Cisl, Uil e Ugl; tutti tranne Fiom insomma. “Abbiamo fatto scelte impegnative, dentro un accordo con lui su un piano d’impresa e sugli investimenti. Prima il fango, poi le generalizzazioni, la verità è che c’è un sindacato che non è scappato – dice Bentivogli – Dopo l’annuncio della chiusura di Termini Imerese (2010) abbiamo impedito che toccasse a Pomigliano, allora sostanzialmente chiusa, e che, come una cerniera si chiudessero altri stabilimenti salendo verso il nord, in un momento in cui il mercato dell’auto viveva la più pesante ristrutturazione della sua storia. Dentro Fiat, e non solo, una parte del vertice puntava sul “no corale” di tutto il sindacato per poter andar via veramente dall’Italia, noi invece abbiamo riaperto la partita”. Allora la vulgata dominante dava addosso a Marchionne, che ora sta smentendo coi fatti chi negava che una società transnazionale era un’opportunità per il paese. “Marchionne, troppo spesso, ha affermato male le sue prerogative. Oggi ci accorgiamo che ha fatto bene a non accettare di essere schiavo delle logiche di un’Italietta fatta di un establishment pigro adagiato sulla rendita. Politici, banchieri, giornalisti e sindacalisti da intrattenimento che vivevano a corte della vecchia Fiat e che hanno tentato maldestramente di camuffare la durezza storica delle relazioni industriali Fiat, come se Romiti e Agnelli fossero dei socialdemocratici e Marchionne il solito cattivo”. Tuttavia molti, a cominciare dal segretario della Fiom, Maurizio Landini, su questa retorica disfattista hanno costruito una carriera, se non politica quanto meno mediatica.

 

“Certo, ci sono i profeti contabili  delle sciagure che continuano a vedere il bicchiere mezzo vuoto e che hanno investito tutta la loro notorietà e purezza sul fatto che si svuotasse completamente ma la realtà per fortuna è sempre più bella”. Ovvero? “Il mercato dell’auto pre-crisi era 2.700.000 vetture. Oggi è un mercato dimezzato a 1.350.000. Ma produrre modelli di fascia alta che conquistano mercati extra Ue è la strategia per aumentare le produzioni e saturare gli impianti italiani. L’ottima risposta sia ai prodotti Maserati che alle nuove auto di Melfi (Jeep Renegade e 500X) rendono concreto per tutti gli stabilimenti italiani l’obiettivo della piena occupazione entro il 2018, dopo anni molto difficili dove la cassa integrazione ha coinvolto il 30 per cento degli occupati”, dice al Foglio Marco Bentivogli, metalmeccanici Cisl.

 

[**Video_box_2**]Eppure a leggere i grandi giornali notiamo una (comprensibile) cautela sugli annunci per Melfi e una (incomprensibile) censura dei quattro anni di trattative sindacali in Fiat. “Ci sono troppi politici superficiali, giornalisti incompetenti e sindacalisti che non hanno mai visto una fabbrica moderna né una trattativa sindacale. Hanno puntato la loro visibilità e purezza ideologica sulla fine della industria automobilistica in Italia. Landini, segretario della Fiom, aveva detto che era finita l’auto in Italia e nel luogo che ha frequentato di più in questi anni, la trasmissione ‘Ballarò’ – sempre senza contraddittorio sindacale – lo scorso 2 dicembre disse: ‘Non so se vi è arrivata questa notizia ma la Fiat in Italia non esiste più’ e invece si venderanno globalmente veicoli realizzati in Basilicata. La favoletta dello schiavismo da lui inventata si sta sgretolando. Oggi è costretto a imbarazzanti elogi fantozziani dell’ad, a smentite e a smentite delle smentite (il “bravissimo” a Marchionne prima dichiarato a Repubblica e ritrattato il giorno dopo sul Fatto Quotidiano, ndr)”. In fondo, però, Landini dovrebbe venerare Marchionne non tanto per la rioccupazione delle fabbriche, quanto per il successo personale riscosso abbaiandogli addosso. “Certo Landini, un po’ meno la sua organizzazione che perde iscritti, dovrebbe ringraziare le ruvidezze comunicative di Marchionne e del premier Matteo Renzi senza le quali non sarebbe mai diventato una star mediatica. Ma quando i personaggi vengono creati in tv sull’esigenza di polarizzazione, il loro corredo fraseologico è sempre intriso di banalità e mistificazioni. Landini (come Salvini) investe sulla paura del futuro. Ha bisogno di indicare nemici per  sviare dalle sue responsabilità. Ha funzionato troppe volte questo opportunismo sindacale, stavolta sarà dura”, dice Bentivogli.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.