Un'immagine di un'esecuzione di massa in Iraq eseguita dagli uomini dello Stato islamico

Così si prepara la generazione dei foreign fighter italiani tra moschee e proselitismo web

Cristina Giudici

Giovani nati e cresciuti in Italia, integrati o meno, che creano nuovi centri islamici alle periferie delle città. Votati al verbo salafita, progettano la fuga nel Califfato e sognano (per ora) la guerra islamista alla democrazia occidentale. Italiani convertiti, maghrebini, siriani, balcanici.

Milano. Giovani nati e cresciuti in Italia, integrati o meno, che creano nuovi centri islamici alle periferie delle città. Votati al verbo salafita, progettano la fuga nel Califfato e sognano (per ora) la guerra islamista alla democrazia occidentale. Italiani convertiti, maghrebini, siriani, balcanici. Non cambia mai il cast per la fotografia istantanea che ritrae gli integralisti italiani. Nell’allerta per il terrorismo nel vecchio, inerme, sconcertato continente europeo la procura di Roma ha deciso di ufficializzare ciò che si sapeva da mesi: l’iscrizione nel registro degli indagati di dieci musulmani di seconda generazione, inseriti  in una rete jihadista. Alcuni indottrinati da imam integralisti come ad esempio Bilal Bosnic, predicatore bosniaco itinerante, arrestato in Bosnia nel settembre scorso. Altri autodidatti, che hanno seguito un percorso fai-da-te nelle zone grigie del web. Presto si saprà se l’iniziativa giudiziaria del procuratore capo Giuseppe Pignatone vada considerata anche una risposta all’opinione pubblica, da decifrare dunque con parametri politici, o se si tratti di una risposta tecnico-giudiziaria di prevenzione del terrorismo nel nostro paese. In ogni caso, non si può sottovalutare ciò che sta accadendo nelle nuove generazioni di musulmani italiani, che non sono molto diversi dagli ex rapper islamisti delle banlieue parigine e che con i fratelli Kouachi condividevano alcuni cattivi maestri: decine di predicatori yemeneti venuti in Italia per fare proselitismo. Formati nell’università-madrassa al Iman, dove si sarebbe recato Said, il maggiore dei fratelli Kouachi. “Predicatori emigrati in Italia, imam non riconosciuti, ma con permesso di soggiorno in tasca per motivi religiosi”, ha confidato al Foglio uno dei pochi musulmani moderati rimasti in circolazione e che non sente l’urgenza di metterci la faccia, per prudenza.

 

Quando si discute di islam italiano si cercano come interlocutori quelli che da vent’anni guidano, con ambiguità, i centri islamici. Ma questa variegata galassia “moderata” ha ormai metabolizzato la pigrizia intellettuale degli indivanados: i suoi leader non hanno alcuna intenzione di perdere i privilegi acquisiti in Italia, dove usufruiscono della libertà di espressione, per mettersi a fare i guerrieri. Non da lì viene, ragionevolmente, la minaccia. Diversa la situazione che viene invece vigilata – con la dovuta attenzione – dagli analisti dell’antiterrorismo italiano: si tratta di gruppi guidati da giovani di seconda generazione di musulmani. In questi luoghi sono stati avvistati anche i “facilitatori” per coloro che vogliono raggiungere il Califfato, attraverso le enclavi salafite bosniache e albanesi e la Turchia. Come conferma Giovanni Giacalone, studioso di radicalismo islamico nei Balcani: “La presenza di reclutatori e simpatizzanti per il Califfato in Italia è nota da tempo. Dal Triveneto alla Liguria, dalla Lombardia alla Toscana e Lazio. Imam radicali provenienti dai Balcani, sono stati ospitati spesso in alcuni centri islamici italiani”. Del resto, se si vuole capire il profilo standard dei “true believer” italiani, basterebbe andare a rileggere la lista dei firmatari di un appello inviato al senatore a vita Azeglio Ciampi nel settembre del 2011, “nel nome del Dio unico”, per fermare la proposta di legge presentata da Souad Sbai, allora deputata del Pdl, per vietare in Italia il velo integrale. Un appello firmato da oltre 70 persone, fra cui alcuni italiani convertiti partiti poi per la Siria. Come Maria Giulia Sergio, una giovane di Torre del Greco che abitava nelle anonime palazzine di Inzago, Milano. Scomparsa alla fine del 2014, per la nostra intelligence, si troverebbe in Siria. Fra i firmatari dell’appello c’era anche Ibrahim Giuliano Delnevo, un giovane italiano morto in Siria, e altri nomi noti dell’integralismo molto indaffarati a fare proselitismo sui social network. La legge per vietare il velo integrale non è mai stata approvata, nel nome della libertà di culto, ma Souad Sbai ha fatto a sua volta un appello al titolare del Viminale, nei giorni scorsi, perché approvi un decreto per vietare il velo integrale almeno temporaneamente, finché l’emergenza non sia cessata, e per dimostrare un cambio di passo, “una reazione di segno culturale all’integralismo”, come spiega al Foglio. La deriva jihadista fino a oggi non ha avuto ripercussioni concrete per il nostro paese. I foreign fighter partiti o passati dall’Italia per ora sono pochi: 53. Eppure l’allerta terrorismo c’è. Khalid Chaouki, deputato pd, che negli anni 2000 fu tra quelli che denunciarono la deriva integralista nelle moschee italiane, afferma: “Dopo l’abbattimento delle Torri gemelle, pensavamo che il nemico fosse esterno, ora la minaccia viene all’interno della nostra società da parte di giovani cresciuti in Italia, che invece dovrebbero preservare la convivenza pacifica. Perciò non si può più tollerare l’ambiguità. Da parte di nessuno”.