Una copia di Charlie Hebdo esposta in un'edicola a Parigi (foto LaPresse)

Rinascita, commiato o resistenza? Recensire Charlie

Maurizio Crippa

Il grande applauso dell’edicola. Commozione, moda, spavento. Sono la triade estetica e morale della civiltà dell’informazione occidentale. Non più Voltaire, non più Rabelais. Ma per sfogliare queste pagine scritte a matita serve anche la lente d’ingrandimento, il prisma ottico, delle lacrime in conferenza stampa, mercoledì.

"Dovresti sapere che ho mala vista, e che non posso usare occhiali”. Così dice la Morte, e lo dice, ohibò, alla Moda. Torna in mente l’Operetta morale di Leopardi mentre si inforcano (forse invano) gli occhiali giusti per scovare la Commare Secca, il Tristo Mietitore, l’Angelo Sterminatore. O per esorcizzare la Dama senza Pietà con la consolazione di una risata. In queste bande dessinée così vive, eppure con evidenza indecise tra l’essere rinascita, commiato, resistenza. O più difficile sberleffo. Certo un po’ di Moda, di rito collettivo, di corretto doverismo si è consumato ieri nel grande applauso dell’edicola. Nelle mani e sotto gli occhi di tantissimi. Del collettivo Noi. Per tutti, certamente, è stata una nuova giornata di commozione. Nella grande cerimonia degli addii dei tre milioni di copie in un battito di ciglia vendute da Charlie Hebdo in tutta la Francia, e le 260 mila andate esaurite in una mezza mattina italiana col Fatto Quotidiano, e ne stamperanno altri tre milioni a Parigi, e ne diffonderà altre duecentomila il Fatto. Commozione, moda, spavento. Sono la triade estetica e morale della civiltà dell’informazione occidentale. Non più Voltaire, non più Rabelais. Ma per sfogliare queste pagine scritte a matita serve anche la lente d’ingrandimento, il prisma ottico, delle lacrime in conferenza stampa, mercoledì. Le lacrime e l’orgoglio e l’ambizione di morire come Crisippo, di risate.

 

Ci sono occhi per piangere e occhiali per ridere. Così ci rigiriamo nelle mani un oggetto dell’umana immaginazione d’occidente, sapendo che è un esemplare unico, rituale. Un rito, sebbene ribaltato, perché è dovere di irrisione ribaltare i riti: “Più gente per Charlie che per la messa”, è il titolo battuta del paginone centrale, fatto a reportage dessiné. E scrive l’editoriale (L’Apéro) che Charlie, giornale ateista, “ha fatto più miracoli di tutti i santi e profeti messi insieme”. Nel numero 1.178 ci sono tutti i morti, il direttore Charb, Tignous, Honoré, Wolinski, Cabu e la psicanalista Elsa Cayat con gli inediti rimasti nel cassetto. E ricordi di Bernard Maris e del correttore Mustapha Ourrad. Un culone generoso con scritto “né Dio né padrone” di Wolinski (celebrava “100 anni di laicità”) inonda orgoglioso pagina tre. C’è irriverenza. Ma contro quell’oggetto scomodo che è la morte per kalashikov il sarcasmo sul jihad (la mamma che fa la valigia al figlio terrorista col mitra: “Non portarlo! Ti fanno pagare il bagaglio in eccesso”), il jihadista con mitra nello zaino al banco dell’Erasmus (“Niente per la Siria?”), la “Yalta in Vaticano” tra islamici cattolici ed ebrei e la contro-marcia dei lepenisti (“Je suis Charlie Martel”) non sfondano, come nelle settimane consuete, il muro del suono dell’oltraggio. Non ci sono vignette blasfeme sull’islam, ce n’è una molto blasfema sulla comunione ai divorziati. Ma è di Cabu, è un omaggio.

 

[**Video_box_2**]Per ridere della Commare secca ci vorrebbe qualche punta di matita in più. Probabilmente anche per piangere, ci vorrebbe. Il Maometto di Luz sulla copertina è bello come una sfinge enigmatica: non ha il coraggio di essere strafottente, non è una resa. Ma le parole dette in conferenza stampa dall’autore della vignetta che già è entrata di diritto nella Storia sono qualcosa di più, e belle: “Ho disegnato Maometto poi ho scritto ‘io sono Charlie’. Ho disegnato Maometto che piange e ho scritto ‘Tutto è perdonato’. Poi ho pianto io”. Gli occhiali, forse sbagliati, ci mostrano il bisogno di uscire dal confine di uno spazio chiuso per ritrovare qualcosa che non sia solo un rictus mortis, ma parola, idea. Qualcosa che interroghi di più della sola ironia. Ci giriamo nelle mani questo oggetto di un pensiero unico, che resterà unico. Que reste-t-il de vos blasphèmes?

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"