Segrio Cofferati (foto LaPresse)

C'era un Cinese in coma

Redazione

Le primarie, i garanti, lo straniero. Il caso Cofferati in Liguria

C’era una volta il cosiddetto “Cinese”: ovvero Sergio Cofferati, l’ex leader della Cgil che, nel marzo del 2002, aveva radunato al Circo Massimo, così si disse, “due milioni di persone” (meno secondo la questura), tutte in difesa dell’articolo 18. C’era una volta il Cofferati politico, melomane, esperto di fumetti e di fantascienza (Philip K. Dick), l’uomo improvvisamente considerato papabile addirittura per guidare il centrosinistra alle elezioni: è lui il “papa straniero”, si diceva estasiati quando la visione dei leader con cui non si sarebbe “vinto mai” (Nanni Moretti dixit, in piazza Navona) dava, per contrasto, una luce taumaturgica al sindacalista non ancora (e poi mai) sceso in campo nel ruolo di candidato premier. Poi però, nel 2004, il “cinese” Sergio Cofferati si è candidato a sindaco di Bologna, vincendo contro il sindaco uscente Giorgio Guazzaloca e governando per quattro anni con un piglio “da sceriffo” che sorprenderà i suoi fan della sinistra radicale (sua l’ordinanza per vietare gli alcolici all’aperto dopo le 22, sua la campagna contro gli affitti in nero, i lavavetri aggressivi e il graffito selvaggio). Nel 2008 la svolta impolitica (così pareva, almeno): basta, non mi ricandido, starò vicino alla famiglia, farò il padre a Genova (dove viveva la compagna), disse il Cinese con gran colpo di teatro.

 

La parentesi durò poco: ecco il Cinese (nel 2009) diventare parlamentare europeo, eccolo tornare sulla scena come nemico delle riforme renziane (in particolare del Jobs Act – di nuovo l’articolo 18). Ma ora che il Cinese ha perso la battaglia anti Renzi e anche le primarie liguri per quattromila e passa voti, con il sospetto che siano stati proprio i cinesi (quelli veri, in coda ai seggi con altri stranieri) a determinare il successo della rivale Raffaella Paita, altro che articolo 18 sembra volere Cofferati. Il Cinese che si sente sconfitto dai cinesi adombra infatti sospetti di “irregolarità”, chiede verifiche ai garanti del Pd (la decisione arriverà oggi) e sembra sperare, in cuor suo, di essere in qualche modo reintegrato nel ruolo di candidato presidente della regione. Ed è così che, dal “C’era una volta un cinese” si è passati al “C’era un cinese in coma” (come diceva la barzelletta del film di Carlo Verdone).

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