Non sono Charlie e non rido di tutto. Men che meno della loro religione minacciosa

Alfonso Berardinelli

Loro sono assassini che vanno combattuti, ma anche combattenti di una loro guerra che non capiamo. La loro idea della religione è aberrante, almeno dall’attuale punto di vista cristiano, per il quale la chiesa ha chiesto perdono del rogo di Giordano Bruno avendo assimilato la lezione dell’Illuminismo. Loro sono assassini, ma io non sono, noi non siamo esattamente Charlie, non tutti lo siamo, anche se la circostanza ci costringe a dire che lo siamo.

Loro sono assassini che vanno combattuti, ma anche combattenti di una loro guerra che non capiamo. La loro idea della religione è aberrante, almeno dall’attuale punto di vista cristiano, per il quale la chiesa ha chiesto perdono del rogo di Giordano Bruno avendo assimilato la lezione dell’Illuminismo. Loro sono assassini, ma io non sono, noi non siamo esattamente Charlie, non tutti lo siamo, anche se la circostanza ci costringe a dire che lo siamo.

 

Ogni aggressione, da qualunque parte venga, anche le aggressioni in parte motivate, se superano certi limiti e proporzioni (supera il limite un bombardamento che uccide 100 civili per reagire a un attentato che ne ha uccisi 5) le aggressioni rendono più ottusi, più limitati, più irragionevoli, più retorici e ipocriti gli aggrediti. Va difesa la libertà di esprimersi. Il che non esclude che questa libertà possa esprimere contenuti più o meno accettabili, più o meno degni che si muoia per loro. Essere consapevoli di rischiare la vita per il sacro diritto di prendere per il culo Maometto, non dà luogo a una mobilitazione morale entusiasmante. Esiste anche la prudenza nell’esprimere liberamente il proprio pensiero. La prudenza è una virtù minore e non è amata dagli intellettuali, ma non va trascurata perché in molti casi ha un evidente valore pratico.

 

Tutti noi “liberi occidentali” ci censuriamo quotidianamente e spesso senza neppure pensarci, per ragioni di prudenza e di buon senso. Se mi metto a criticare apertamente, in un articolo, in modo osceno, il mio datore di lavoro, il direttore di un giornale con cui collaboro, gli amici del mestiere mi diranno che sono un pazzo, un irresponsabile: non si può rischiare di perdere lavoro e salario per il gusto o la libertà di dire in modo provocatorio quello che penso.

 

Se dovessi esprimere liberamente il mio pensiero con i miei vicini di casa che fanno rumore o ingombrano con le loro robe il pianerottolo, o con i miei compagni di viaggio in treno, che telefonano a voce spiegata o mettono le suole delle loro scarpe sul sedile di fronte; se poi difendessi il mio sacro diritto di parola prendendoli per il culo, dovrei prepararmi, a volte, a uno scontro, perfino fisico. Un imprudente coglioneria può provocare tragedie e non per questo diventa in sé tragica, né più accettabile, più seria e sacrosanta.

 

La globalizzazione ha reso vicini di casa, sì, troppo vicini, popoli, gruppi umani, individui che non ci sono affatto vicini e prossimi, che non capiamo, che non ci capiscono, che ci abitano accanto ma magari ci odiano, e se c’è un’occasione o una scusa sufficiente, esprimeranno liberamente il loro odio. Ogni volta che esco da un supermercato con i sacchetti della spesa pieni e non mi fermo a dare qualcosa, denaro o cibo, a chi mendica sulla porta, so che sarò odiato. Anni fa ho sentito questa frase sulla bocca di un’immigrata: “Questi italiani mangiano come porci”. Per qualcuno che vive dove io vivo, nel mio quartiere, nella mia città, so che sono “un porco” solo perché compro da mangiare nella misura (modesta) in cui le nostre economie mi hanno abituato a mangiare.

 

Abbiamo fatto dell’accettazione dell’Altro un insopportabile retorica etico-filosofica. Ma accettare l’altro, la sua mentalità, la sua cultura, le sue abitudini, è difficile, molto difficile anche quando questo altro lo si conosce, è un amico, lo si ama e in più si è in tempo di pace. Non dimentichiamo che il nostro tempo di pace si sta sempre più mescolando, fuori da ogni legalità, con il tempo di guerra e che vivono con noi i parenti stretti di coloro con cui, fuori dai nostri confini nazionali, siamo in rapporto di guerra. Questa situazione richiede un po’ di prudenza. Lo scontro di civiltà non è una teoria, è un fatto che chiunque può constatare. I conflitti aumenteranno. E’ molto probabile che nel prossimo futuro aumenteranno le guerre.

 

L’islam non è una cosa sola, non è monolitico, non è solo intolleranza e guerra santa. Ma ha con l’intolleranza e la guerra santa un legame speciale che detta comportamenti a volte prevedibili e a volte no. Va anche ricordato che ogni religione ha sempre avuto certi limiti e certe ambivalenze perché, per mite che sia, ha una tendenza irresistibile all’enunciazione di dogmi sottratti alla discussione e di sacre verità da difendere e alle quali sacrificare anche eroicamente la vita. L’individuo religioso può essere più umano ma anche meno umano degli altri, perché mette Dio al di sopra della vita terrestre e Dio conta più di ogni altra cosa.
L’uso criminale del dogma religioso non è una novità. Chi “si serve” di Dio per combattere meglio i propri nemici, cade nelle mani del diavolo. Le grandi religioni offrono e promettono molto, ma esigono molto e, a voler essere coerenti con i principi, possono chiedere troppo. Le religioni degli altri possiamo discuterle razionalmente fra noi, ma non con loro se ritengono razionalità e discussione modalità antireligiose. Le religioni degli altri non vanno offese né ridicolizzate.

 

[**Video_box_2**]La situazione oggi è delicata, rischiosa e sempre sull’orlo di diventare drammatica. La cosiddetta occidentalizzazione del mondo è una interessante sineddoche, che scambia la parte per il tutto. E’ stato occidentalizzato solo lo strato più superficiale dei comportamenti. Perfino la modernizzazione italiana stenta a imporsi. L’universalismo della produttività e dei consumi non significa universalismo di valori amorali, di convinzioni e di sensibilità. Nei fatti, ogni volta che ci fa comodo, i nostri valori li mettiamo da parte e scopriamo l’estraneità degli altri. Visti i fatti, c’è poco da ridere. Comunque, sono contro le specializzazioni: a ridere sempre, come vorrebbero i satirici di professione, si diventa noiosi. E non si può ridere di tutto.