Come funziona il reclutamento renziano in vista della partita del Quirinale

Claudio Cerasa

Nella fulminante e avvolgente e complicata èra della disintermediazione – in cui i corpi intermedi perdono consistenza, in cui gli apparati perdono peso, in cui le mediazioni vanno tendenzialmente a farsi benedire – il presidente del Consiglio ha deciso che anche per la partita del Quirinale è necessario adottare il metodo del governo WhatsApp.

Roma. “Dài, perché non vieni a farti un giro a Chigi?”. Nella fulminante e avvolgente e complicata èra della disintermediazione – in cui i corpi intermedi perdono consistenza, in cui gli apparati perdono peso, in cui le mediazioni vanno tendenzialmente a farsi benedire – il presidente del Consiglio ha deciso che anche per la partita del Quirinale è necessario adottare il metodo del governo WhatsApp. Nella attività quotidiana di governo, il metodo prevede che circa il novanta per cento delle comunicazioni e delle riunioni organizzate da Renzi debbano avvenire esclusivamente tramite l’utilizzo dei propri smartphone. E’ il modello you and me: i corpi intermedi non contano più, come si è detto, e ciò che conta è quello che ci diciamo direttamente io e te. Si fanno spesso così le riunioni della segreteria del Pd. Si fanno spesso così le riunioni con i collaboratori del presidente del Consiglio. Si preparano spesso così alcuni importanti summit di governo. You and me. Io e te. L’approccio scelto da Renzi per tentare di esercitare il suo potere di seduzione sui gruppi parlamentari in vista della delicata partita del Quirinale rientra sempre nella logica della disintermediazione ma con una chiave diversa rispetto al passato.

 

Per eleggere un presidente della Repubblica affidarsi al taumaturgico potere di WhatsApp è un rischio eccessivo ma il metodo del rapporto individuale resta la chiave della tattica renziana. E in questo caso gli smartphone di Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Lorenzo Guerini e Luca Lotti sono solo una parte del piano di cura individuale dei potenziali 505 grandi elettori del prossimo capo dello stato. Funziona così. Lotti, o chi per lui, convoca un parlamentare di seconda o terza fascia a Palazzo Chigi. Lo accoglie, lo coccola, lo lusinga, si informa rispetto a quello che vorrebbe fare nel futuro, gli chiede se vorrebbe andare di più in televisione, se vorrebbe essere coinvolto maggiormente nell’attività di governo, se pensa che sia possibile fare qualcosa per lui, se vuole essere ricandidato, se ha qualcuno che vorrebbe candidare da qualche parte, se ha in ballo qualche partita regionale, poi gli dice che è possibile, che si può fare, che come potrà immaginare la partita del Quirinale è però centrale, e all’improvviso, poco prima di terminare il colloquio, gli dice, al parlamentare: “Hai un minuto? Se vuoi ti faccio conoscere Matteo”. La cura individuale dei potenziali 505 grandi elettori necessari a eleggere il capo dello stato dalla quarta votazione in poi non è solo una scelta dettata dalla tattica ma è la conseguenza di una condizione particolare in cui si trova il Parlamento. Dove la disintermediazione, in questo caso, è dovuta a un fenomeno che riguarda la disintegrazione dei gruppi parlamentari del Pd e anche di tutte le vecchie correnti. Rispetto all’inizio della legislatura non ci sono più macroblocchi o grandi capi corrente con cui trattare e ogni corrente è divisa in mille sottocorrenti che rendono impraticabile l’ipotesi di un accordo tra correnti per eleggere il prossimo presidente della Repubblica. E così capita che per parlare con i renziani in Parlamento, i renziani di Chigi siano costretti a convocare vari tipi di renziani: Marco Donati, Marco Di Maio, Matteo Richetti.

 

[**Video_box_2**]E così capita che per parlare con i civatiani sia più semplice e funzionale entrare in contatto con alcuni civatiani (Giuseppe Guerini, Luca Pastorino) che con lo stesso Civati. E così capita che siano divisi anche i fuoriusciti da Sel (da una parte Gennaro Migliore, dall’altra Ileana Piazzoni). E così capita che siano divisi in due tronconi anche gli appartenenti ad Area Dem (da una parte c’è l’area legata a Giacomelli, area vicina a Lotti, e dall’altra c’è l’area più legata a Serracchiani, guidata da Losacco). E così, ancora, capita che le microcorrenti nascano anche all’interno delle varie commissioni parlamentari. E capita che per parlare con la corrente della commissione Lavoro, e in particolare con l’area Cgil del gruppo Pd, tocchi convocare Cesare Damiano; per parlare con la corrente della commissione Attività produttive, area legata a un pezzo di corrente fioroniana, tocchi rivolgersi ad Angelo Senaldi. E poi ci sono i cuperliani. Gli speranziani. I dalemian-renziani. I bindiani. I prodiani. Eccetera. Le vecchie correnti non ci sono più. Disintegrate. Frammentate. Spesso frustrate. Funziona così. E non è detto che questa, per Renzi e il suo governo WhatsApp, sia necessariamente una buona notizia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.