Abu Mazen (foto LaPresse)

La provocazione di Abu Mazen

Redazione

Entrare nella Corte penale internazionale scatenerà ritorsioni e problemi. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha quasi ottant’anni, una leadership in frantumi e un consenso elettorale che ormai frana verso Hamas.

Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha quasi ottant’anni, una leadership in frantumi e un consenso elettorale che ormai frana verso Hamas. E’ importante ricordarlo per giudicare la sua mossa di mercoledì, quando l’Autorità palestinese ha fatto richiesta formale di ingresso della Palestina nella Corte penale internazionale, una provocazione da cui Washington e Gerusalemme hanno messo in guardia Abu Mazen per anni. Entrando nella Corte penale internazionale, l’Autorità palestinese può chiedere l’incriminazione di Israele per crimini di guerra, e far partire cause che automaticamente si trasformerebbero in campagne di demonizzazione contro Gerusalemme. Abu Mazen si è voluto vendicare di una sconfitta subìta martedì al Consiglio di sicurezza dell’Onu, e cerca iniziative di ampio impatto per restaurare la sua credibilità a pezzi: provoca, incita alla violenza a Gerusalemme est, cerca il riconoscimento della Palestina a livello internazionale – e trova la condiscendenza colpevole di molti Parlamenti europei. Ma l’adesione alla Corte, alla vigilia delle elezioni in Israele, è una provocazione troppo grave, e un altro colpo forse definitivo al moribondo processo di pace. E’ una mossa dettata dalla disperazione, e in quanto tale si ritorcerà contro il presidente palestinese. Il Congresso americano minaccia da tempo sanzioni contro l’Autorità in caso di adesione alla Corte, compreso il taglio dei 400 milioni di dollari annuali in finanziamenti, e sicuramente Gerusalemme applicherà sanzioni e tagli di aiuti. Ne risentirà la popolazione civile, Abu Mazen avrà buon gioco a incolpare Gerusalemme, la comunità internazionale non dovrà cadere nella sua trappola.

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