Tutte le conseguenze non intenzionali del balzello su Google News

Luciano Capone

Madrid voleva premiare gli editori e Google ha chiuso. Ora i siti perdono traffico e il Mundo addirittura paga il motore di ricerca.

Milano. La vicenda di Google News in Spagna dimostra ancora una volta che le conseguenze non intenzionali sono importanti almeno quanto le motivazioni che spingono ad approvare nuove tasse e provvedimenti. Il governo popolare di Mariano Rajoy, dietro il suggerimento interessato dell’Aede (Associazione degli editori di giornali spagnoli), ha deciso di colpire Google e in particolare il servizio di aggregazione di notizie Google News attraverso la Ley de Propiedad Intelectual, che prevede dal 1° gennaio un contributo da versare agli editori come “equo compenso” per la diffusione delle anteprime dei loro articoli. L’idea alla base della nuova tassa, ribattezzata “tasa Google” o “canon Aede”, è che il gigante californiano ottenga enormi profitti grazie ai contenuti prodotti dai giornali senza dare agli editori alcun compenso e, siccome Big G grazie alla sua posizione dominante sul mercato ha un forte potere contrattuale, la nuova legge sancisce che il diritto degli editori a farsi pagare è “irrinunciabile”. Gli editori sono obbligati a farsi pagare, che lo vogliano o meno. Da Mountain View hanno risposto con una serrata: “Dal momento che Google News non genera ricavi – non mostriamo nessuna pubblicità sul sito – dal 16 dicembre rimuoveremo gli editori spagnoli da Google News e il servizio in Spagna”.

 

Di fronte all’ipotesi di chiusura di Google News, il fronte degli editori si è diviso, con l’Aeepp (Associazione di piccoli e medi editori) nettamente contraria alla nuova tassa, vista come confliggente con la libertà d’impresa, alla libertà di stampa e alla libertà della rete. La tesi dei giornali online più piccoli è che loro non si sentono derubati da Google, la retribuzione avviene grazie al traffico e quindi ai soldi che arrivano dall’indicizzazione gratuita sull’aggregatore di notizie, un servizio che garantisce visibilità mondiale anche a piccole realtà. Niente Google News, meno click. Un problema, quello della perdita di traffico, che riguarda anche i grandi editori dell’Aede: “Vedremo gli editori tradizionali, vittime della propria iniziativa, chiedere a Google di riaprire Google News”, è stata la profezia di Arsenio Escolar, direttore del popolare giornale online 20minutos, in prima linea nella lotta contro la “tasa Google”. E la profezia di Escolar si è avverata pochi giorni dopo, quando i grandi dell’Aede, che avevano suggerito al governo di imporre la tassa a Google, hanno chiesto allo stesso esecutivo di fare in modo che il loro sfruttatore non chiuda il servizio: “Data la sua posizione dominante sul mercato, la chiusura di Google News avrà senza dubbio un impatto negativo sui cittadini e le imprese spagnole”. “E’ una strana relazione parassitaria questa nella quale la presunta vittima implora al parassita di continuare a dissanguarla”, ha commentato l’economista liberale Juan Ramon Rallo. Tuttavia questo non è l’unico esito paradossale non previsto da editori e governo. Già nei primi giorni della chiusura di Google News, che hanno visto una discesa nelle visite ai siti di news del 10-15 per cento, alcune grandi testate come il Mundo sono corse al riparo pagando avvisi pubblicitari per comparire in testa alle ricerche di Google. In pratica quegli stessi giornali che volevano farsi pagare da Google si sono trovati dopo l’approvazione della loro legge a pagare annunci ad AdWords che, a differenza di Google News che non genera ricavi, è la prima fonte di incassi di Big G con oltre 50 miliardi di dollari. Di fronte all’esito non esaltante della nuova tassa, il governo non ha dissimulato di aver agito nell’interesse della lobby degli editori e con il ministro dell’Industria José Manuel Soria ha fatto sapere che la “tasa Google” non è “irreversibile”: “Sono stati gli editori a chiedere una tassa al governo. Dopo che il settore ne avrà valutato l’impatto, si potranno adottare provvedimenti ulteriori”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali