L'ultima fissa dei genderisti francesi sono i balocchi unisex

Nicoletta Tiliacos

I giocattoli sotto l’albero potevano essere risparmiati dalla rieducazione pro gender? Naturalmente no, almeno nella Francia di Hollande.

Roma. I giocattoli sotto l’albero potevano essere risparmiati dalla rieducazione pro gender? Naturalmente no, almeno nella Francia di Hollande e della ministra dell’Education nationale, Najat Vallaud-Belkacem. In nome della “lotta agli stereotipi di genere”, sabato scorso, una decina di militanti delle Femen e delle Chiennes de garde hanno fatto irruzione in un grande magazzino che vende giocattoli “per protestare contro le conseguenze nefaste dei giochi stereotipati sulla disuguaglianza uomo/donna”, al grido di “basta con le bambole per le bambine e le spade per i bambini”.

 

A dar loro manforte, arriva ora un rapporto presentato dalla senatrice ed ex campionessa di karate Chantal Jouanno (Union des démocrates et indépendants, formazione di centrodestra) e dal suo collega Roland Courteau (Partito socialista). Nel rapporto si sottolinea “l’importanza dei giochi nella costruzione dell’uguaglianza tra ragazze e ragazzi”. In concreto, si mette sotto accusa (indovinate un po’) l’uso dell’azzurro per i maschi e del rosa per le femmine, così come l’abitudine di dedicare agli uni e alle altre pagine separate nei cataloghi. Naturalmente non la passano liscia “super eroi e piloti da corsa” per i maschi e “principesse e piccole mamme” per le femmine. Il sospetto che non ci sia condizionamento ma quasi sempre solo inclinazione spontanea, nel fatto che una ragazzina voglia una bambola e un ragazzino la macchinina da corsa (e ferma restando la possibilità di scambiarsi i giochi, cosa che è sempre successa, come con i libri, soprattutto nelle situazioni dove ci sono fratelli e sorelle) non sfiora le menti argute e sospettose degli estensori del rapporto. I quali individuano loschi condizionamenti un po’ ovunque, naturalmente a vantaggio della rapace industria dei giocattoli che incentiva gli stereotipi (parola ripetuta 125 volte su 128 pagine) perché le conviene. “La separazione tra maschi e femmine incoraggiata dai giochi crea l’illusione di una complementarietà di ruoli e di competenze tra uomini e donne che va di pari passo con la nozione di gerarchia ed è in contraddizione con il principio di uguaglianza”, sentenzia il rapporto senatoriale francese, che caldeggia cataloghi rigorosamente unisex, da dove magari bambole e spade e rosa e azzurro siano semplicemente eliminati, a vantaggio di una gloriosa uniformità. Ma soprattutto chiede una commissione che vigili sulla pubblicità televisiva di giocattoli “per evitare messaggi sessisti impliciti veicolati da queste pubblicità”, l’istituzione di un premio negativo che “stigmatizzi le pratiche contestate” e di una “carta delle buone pratiche” destinata ai fabbricanti, la promozione di corsi appositi per chiunque abbia contatti con i bambini nella prima infanzia (insegnanti negli asili, animatori, pediatri) e per i bambini stessi. Stanati ovunque si trovino perché capiscano, una volta per tutte, che se sei una bambina e vuoi una bambola vestita di rosa è perché qualcuno ti vuole infelice e sottomessa.

 

[**Video_box_2**]Fin qui, siamo alla solita fuffa. A essere invece sorprendente è il fatto, sostenuto nel rapporto, che la crescente e netta separazione tra giochi maschili e femminili sarebbe un fenomeno relativamente recente, perché fino agli anni Settanta e Ottanta i giochi erano più intercambiabili rispetto a quanto non sia avvenuto dagli anni Novanta in poi. A essere maliziosi, si potrebbe pensare che, mentre sorgeva e diventava mainstream l’ideologia gender (i sessi non esistono, esistono solo le costruzioni culturali, cioè i riprovevoli stereotipi sessuali, bla bla bla), nella vita concreta la differenza sessuale si prendeva la sua rivincita proprio tra i più piccoli. Colpa dell’industria dei giocattoli, come dice il rapporto? Sarà. Ma sfidiamo la senatrice karateka Jouanno a togliere a una bambina la sua Barbie di rosa vestita.

 

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