Dei bambini si affacciano da un muro su cui è attaccato un manifesto elettorale che invita a votare per Chavez a Caracas (foto AP)

L'avvicinarsi del default in Venezuela ha svegliato i Castros

Luciano Capone

Quando uno dei più longevi regimi ateo-marxisti della storia riprende le relazioni diplomatiche ed economiche con il paese capitalista per eccellenza, vuol dire che qualcosa è profondamente cambiato.

Milano. Quando uno dei più longevi regimi ateo-marxisti della storia riprende le relazioni diplomatiche ed economiche con il paese capitalista per eccellenza, grazie alla mediazione del Papa, vuol dire che qualcosa è profondamente cambiato. Molti hanno analizzato il disgelo tra Stati Uniti e Cuba guardando alle ragioni di politica interna ed estera di Barack Obama, alla sua necessità di lasciare un’eredità importante sul piano internazionale, oppure al ruolo svolto dalla chiesa e in particolare da un Pontefice sudamericano. Ma altrettanto rilevanti sono le ragioni che hanno portato il regime socialista cubano, da mezzo secolo simbolo della “resistenza anti-imperialista” nel continente americano, a fare accordi con il Grande Satana statunitense. Una forte spinta ad ammainare temporaneamente la bandiera anticapitalista è la profonda crisi dell’alleato venezuelano, da cui Cuba dipende per i generosi sussidi energetici. Da ormai 15 anni, da quando Hugo Chávez prese il potere a Caracas, Cuba è stata sussidiata dal Venezuela con oltre 100 mila barili di petrolio al giorno, circa il 15 per cento del pil dell’isola, risorse che hanno permesso al regime cubano di garantire energia, importazioni di beni alimentari e livelli minimi di assistenza.

 

Per un lungo periodo il Venezuela ha goduto dell’elevato prezzo del petrolio, utilizzando l’enorme surplus per finanziare costosissimi programmi di spesa pubblica e per costruire una leadership regionale sussidiando i paesi latinoamericani attraverso alleanze internazionali come Alba e Petrocaribe. La dispendiosa politica chavista, basata tutta sui proventi delle risorse naturali, si è rivelata alla lunga insostenibile e ha subìto un colpo durissimo con il crollo del prezzo del petrolio di quest’anno. Il Venezuela ora è praticamente in bancarotta, alle prese con la mancanza di beni essenziali, con l’inflazione oltre il 60 per cento e un bilancio in profondo rosso.

 

L’implosione del generoso alleato venezuelano avrà sicuramente riportato alla memoria dei fratelli Castro, o almeno a quella di Raúl, il crollo dell’Unione sovietica, da cui l’economia cubana era fortemente sussidiata. La chiusura improvvisa dei petrorubli nel 1990 fece collassare l’economia cubana di oltre il 30 per cento in pochissimo tempo e diede inizio al “periodo especial”, un lungo stato di emergenza caratterizzato dalla mancanza di medicinali, energia e cibo. Ancora oggi Cuba importa circa 2 miliardi di dollari di beni alimentari e la normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti è stata probabilmente l’unica carta da giocare per cercare di trovare un’alternativa all’abbraccio mortale venezuelano. Il riavvicinamento tra Castro e Obama è arrivato tra le altre cose proprio nel momento peggiore delle relazioni tra Stati Uniti e Venezuela. Solo pochi giorni prima il Congresso statunitense aveva approvato sanzioni contro i funzionari venezuelani accusati di violazione dei diritti umani. “Possono mettersi le loro sanzioni dove sanno, questi yankee insolenti”, aveva dichiarato Maduro, che dopo un paio di giorni si è trovato di fronte a un accordo tra Cuba e gli yankee, di cui evidentemente non era stato informato: “Dobbiamo riconoscere che la riparazione storica nei confronti di Cuba è un gesto coraggioso da parte di Obama”, ha commentato il presidente venezuelano.

 

[**Video_box_2**]Il disgelo tra Cuba e gli Stati Uniti ha tolto al chavismo anche la logora arma propagandistica del “Satana imperialista” e ha dato ulteriore vigore all’opposizione: “Nicolás, Raúl ti ha messo un’altra volta in ridicolo”, ha dichiarato il leader dell’opposizone Henrique Capriles Radonski. E in effetti la svolta inaspettata, almeno a Caracas, di Raúl Castro non fa altro che danneggiare il consenso interno di un Maduro già a corto di dollari, petrolio e carisma.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali