A me personalmente qualche settimana fa è caduto l’occhio su un annuncio che prometteva il sacro graal del panorama immobiliare romano: il terrazzo

Le mie terrazze

Mia Ceran

L’arte di cercare casa a Roma, tra ascensori sociali e disavventure panoramiche. Chi non potrà mai averla, la occupa in attesa della Celere. Per gli altri c’è la riffa del mercato romano. Affitti o vendite, uguale. “Dunque c’è il posto auto?”. “Ecco, la strada è privata anche se senza sbarra, se è fortunata entra e può trovare posto”.

Sono cinquantasei metri quadri. Ma è un bijoux, una chicchetta, una bomboniera. Magari i bambini quando vengono stanno un po’ stretti, ma i bambini si adattano, no? Sono a Villa Riccio, mica a Baghdad”. In via Settembrini, sui divani all’ombra dell’omonimo bar, l’autore tv aggiorna i colleghi sulla ricerca di un alloggio dopo la frantumazione del vincolo matrimoniale. Altri contratti lo attendono: un più gestibile “tre più due” al posto di “finché morte non vi separi”. Villa Riccio, un po’ comprensorio esclusivo un po’ borgo medievale protetto dagli inferni della città, è finalmente sua. Per almeno 56 metri quadri. La misura della felicità. Il pulsante dell’ascensore sociale a mezzo affitto. Le creature dormiranno tra il plasma, la zona bar e l’alcova di papà, ma forse domani, al cinguettio ascoltato tra i viali alberati che collegano le palazzine in tinte arancio – “Buonasera direttore”, “come andiamo, maestro?”. “Bellissima l’ultima copertina, molto elegante” – sapranno dare il loro giusto significato. Da Roma sud a Roma nord, più in là dei mondi di mezzo, dei vivi, dei morti e delle tavole che corrotto e corruttore contribuiscono a imbandire, c’è un pasto nudo. Una lotta tra bene e male che al centro del campo di battaglia vede la casa. Chi non potrà mai averla, la occupa in attesa della Celere. Per tutti gli altri, c’è la riffa del mercato romano. Affitti o vendite, fa lo stesso. Un suk di voci, chimere, trappole travestite da occasioni. Pigneto, via Grosseto. Appartamento di 50 mq su piano rialzato. Soggiorno, angolo cottura, camera matrimoniale, un servizio, balcone e terrazzo. 700 euro al mese. Parioli, via Archimede. terzo piano, tre camere da letto, due bagni, camera e bagno di servizio, ampio terrazzo e box. 3.700 euro mensili più seicento di condominio. Tor de’ Schiavi, delizioso appartamento arredato. Tre camere, cucina abitabile, servizio ripostiglio e due balconi. 1.100 euro. Studenti. Manager. Impiegati. Le caste a Roma esistono ancora e l’appartenenza è determinata dalla soluzione immobiliare di ciascuno. Il quartiere e la scelta della casa parlano di te più dell’occupazione e del conto corrente. Chi la casa la cerca non tramite il passaparola o non ha la fortuna di essere amico degli amici, si deve affidare al sistema degli annunci. Un tempo si usava l’evidenziatore su pagine stinte d’inchiostro di Porta Portese, oggi alcuni siti dedicati ti offrono la possibilità di disegnare una piccola mappa della città (“seleziona le tue zone”) e dopo il clic di prammatica su Aventino/San Saba, Vigna Stelluti/Fleming o Centocelle, il motore di ricerca partorirà una macchia blu scuro: la tua fetta di città, ciò a cui ambisci e ciò che puoi realmente permetterti.

 

Ai tempi di “Caro Diario”, nel lontano 1993, sognava anche Nanni Moretti: “E andando in Vespa mi piace anche fermarmi a guardare gli attici dove mi piacerebbe abitare. Mi immagino di ristrutturare appartamenti su in alto, che vedo dalla strada, appartamenti che i proprietari non hanno nessuna intenzione di vendere. Un giorno poi un attico che mi sembrava più accessibile di altri, io e Silvia siamo anche saliti a vederlo. Abbiamo chiesto quanto costava e ci hanno risposto: dieci milioni al metro quadro. Come dieci milioni al metro quadro? Dice ‘sì’, ma non si può fare un discorso di tanto al metroquadro. Via Dandolo è una via storica, qui Garibaldi ci ha fatto la resistenza”. Più di vent’anni dopo, lo stato dell’arte non è migliorato. Simile in tutto e per tutto al quadro dipinto da Venditti nell’82: “Vivere a Roma fa male alla testa / soprattutto se non hai una casa / te la sogni di notte / te la cerchi di giorno / e la situazione è disperata”. Chi nell’appartamento investe una parte non irrilevante del proprio percorso lavorativo a stento trattiene l’orgoglio. Così la conduttrice televisiva, che generosamente ospita la festa di fine produzione del suo programma sulle sue terrazze, racconta ai suoi collaboratori quanto sia stato difficile ristrutturare trecentoventi metri quadri nel centro di Roma dove non passavano neanche i camion con i materiali: “I pavimenti in resina” – spiega – “li abbiamo fatti negli anni 90, noi”. E ancora: “Questa casa l’abbiamo presa che era ’na schifezza, però l’indirizzo valeva la sfida”, aggiunge mentre il figlio si lancia con lo skateboard da una parte all’altra del salone triplo. Sorride il dirigente d’azienda ospite, perché fiero occupante di terrazze panoramiche a sua volta, ma senza ostentare complicità, ché lo sanno tutti che quella in cui vive lui è una casa che la moglie ha ottenuto dall’ente a prezzi fuori mercato, e sull’assegnazione degli alloggi dell’ente è sempre meglio non indagare.

 

La giovane anchorwoman del telegiornale, che insieme al compagno ha investito tutti i suoi risparmi in un meraviglioso attico le cui stanze non sfigurerebbero su Architectural Digest, piange invece ogni sera “perché io mica son di Roma, e questa differenza tra Roma nord e Roma sud non l’avevo capita ai tempi del rogito. A me l’Appio Tuscolano sembrava un bel posto”.

 

E’ vero, a un autoctono non sfuggirebbero mai certe differenze. E chi vende o affitta sogna il cliente straniero, quello a cui vendere il monolocale seminterrato come la fontana di Trevi. E sui siti annuncia: “Affittasi loft su due livelli, 50 mq, parzialmente arredato. Euro 900” – segue tentativo di traduzione in lingua inglese dell’annuncio per attirare studenti stranieri che da qualche decennio ormai foraggiano l’economia trasteverina. Arriverà una giovane fanciulla bionda dell’Idaho a incontrare l’agente di beige vestito e forse, quando si aprirà il portone di un monolocale su due livelli senza finestre avrà nostalgia degli ampi spazi lasciati in cambio di una promessa bohémienne.

 

“Vede, queste un tempo erano stalle, come se dice, for horse. Poi so’ diventati loft” scandisce lentamente per la giovane straniera l’agente. “Scusa… ma non c’è finestre?” riesce a rispondere la ragazza. “A signorì, gliel’ho detto che era ’na stalla. Si je piace la luce può apri’ er portone de casa, tanto la strada è nascosta a nun ce passa nessuno”.

 

A me personalmente qualche settimana fa è caduto l’occhio su un annuncio che prometteva il sacro graal del panorama immobiliare romano: il terrazzo.

 

Parioli, via Archimede 85 mq. In contesto esclusivo affittasi attico superattico con terrazzo di 200 mq. Doppi servizi, ascensore, possibilità posto auto. Euro 2.000 spese incluse.

 

- “Immobbili di prestiggio buongiorno sono Raoul”.

 

- “Buongiorno, chiamo per l’annuncio per l’appartamento di 85 metri quadri in via Archimede…”.

 

- “A Mari’, che me prendi il fascicolo di via Archimede che c’ho una ar telefono?”.
(Il suono della voce ora non è rivolto alla cornetta, ma a qualcuno che abita lo stesso openspace lavorativo, evidentemente più vicino al fascicolo in questione).

 

L’appuntamento è alle 14,15, il classico incastro tra quello delle 14 e quello delle 14,30. Le foto sul sito, come al solito, sembrano scattate attraverso il vetro appannato della doccia: impossibile capire “il potenziale”. In evidente stato di attesa, accanto a me, una madre e una figlia ventenne, forse lì per l’appuntamento (in ritardo) delle 14. Verso le 14,27 esce dal portone l’agente immobiliare, una donna, con una coppia sulla quarantina. Salutano. Noi saliamo tutti insieme in modalità “carovana”, un classico romano per agenti che ottimizzano (i propri) ritardi.

 

Per rompere il ghiaccio, la signora accanto a me chiede all’agente: “Mi parli della possibilità posto auto. Sarebbe un posto nel garage?” La risposta di colei che affitta case per vivere: “No no, quello noi non lo abbiamo scritto. Possibilità è nel senso che la strada è privata anche se senza sbarra, quindi se è fortunata entra e può trovare posto”.

 

L’ascensore si apre al quinto e ultimo piano. Entriamo. Spinti con veemenza verso il lato sinistro, più stretto della casa, ci lasciamo alle spalle quello che sembra essere il vero ingresso: capiremo poi la premura dell’agente nell’occultare un’area intera dell’immobile.

 

E’ ancora dentro la coppia con figli che ha abitato la casa negli ultimi anni, “ma contano di portare via tutto entro un mese, massimo tre”. La disponibilità di appartamenti terrazzati è limitata, e chi lo sa si concede forbici di tempo e di prezzo piuttosto ampie.

 

Una donna di servizio prepara il pranzo in un corridoio largo quasi un metro coraggiosamente adibito a cucina. “Abbiamo il frigo e la lavastoviglie da bar” si affretta a spiegarmi il proprietario/inquilino indicando due basse scatole metalliche che gli arrivano a metà dello stinco. E’ un uomo sulla quarantina, un giovane professionista probabilmente, e sorridendo mi rassicura: “In quattro ci abbiamo sempre fatto tutto benissimo”. Dalla cucina-bar si accede a un salottino e subito dopo a una stanza, quella dei bambini. Abbiamo già visto i primi 40 metri quadri. Stando all’annuncio ce ne mancano altri quaranta, almeno. Ma chi cerca casa da un po’ lo sa; potrebbe anche essere tutto finito qui, e se si cercano spiegazioni ci si sentirà dire: “Ma parliamo di 85 commerciali”.

 

E ora? E ora invece si sale. Meno male, c’è dell’altro. Una scala a chiocciola vertiginosa (chiusa da un cancelletto anti bambini) ci conduce al piano di sopra, uno spazio rettangolare dalle mura non particolarmente alte né solide (lamiera ben pitturata, azzarderei). Siamo di fronte a un chiaro abuso edilizio, che però viene mostrato con la fierezza di chi ha condonato in tempo: “Non ci sta niente di cui preoccuparsi”, spiega la nostra guida. Trenta secondi per vedere la seconda camera da letto e il bagno (chi è alto oltre il metro e sessanta è chiaramente invitato a usare i servizi del piano inferiore), poi il pezzo forte: la terrazza. Il miraggio di ogni romano, lo spazio in cui “si vive nove mesi all’anno”, baciati dal sole e dalla luce di questa città, la vera ricompensa per il traffico impazzito, la mancanza di mezzi di trasporto, lo “sbocco esterno”, lo status symbol abitativo, il sacro graal.

 

Duecento metri quadri pavimentati, un abbozzo di pergolato Unopiù mai completato e un affaccio sull’agglomerato di parabole e antenne appoggiate sui numerosi stili architettonici che compongono Roma nord. Qua e là, macchie di verde. Una terrazza chiaramente troppo impegnativa e grande da arredare. Domina solitario un arrugginito barbecue da giardino nel mezzo e uno scivolo in plastica per i pargoli cui il sole romano ha fiaccato i colori, in direzione muro (per evidenti ragioni di sicurezza).
“Ma che potenziale! Pensate alle cene, alle feste che si possono fare qui!” si lancia imaginifica l’agente immobiliare cercando entusiasmo nello sguardo dei presenti, ammutoliti. La giornata è uggiosa, vien solo da pensare a eventuali infiltrazioni al piano di sotto, si incrocia lo sguardo del condomino del palazzo di fronte che sembra dire: “Ci dovete solo provare, a far le feste”. Perlustro il terrazzo in quaranta passi, mi ritrovo davanti a una parete con una portafinestra dalle persiane chiuse e due finestre, chiuse anche quelle, che però non combaciano con la camera e il bagno visti da dentro. “E qui cosa c’è?” chiedo ingenua. “Ah niente. Qui ci vive una signora. Ma non si preoccupi, si tratta della madre dei proprietari, sono sicura si possa trovare un accordo”. E chissà se ventilava l’ipotesi di accordarsi per dei turni in cui la proprietaria sarebbe stata autorizzata a prender luce o se pensava di murare direttamente le finestre.

 

E’ frequente incontrare a Roma appartamenti abilmente divisi, specie nelle abitazioni della ricca borghesia in declino dove la parte migliore la si tiene per sé e l’altra, dolorosamente, la si affitta. Forse più rara è ancora questa fattispecie: l’appartamento non divisibile in cui uno dei proprietari (nel caso, l’anziana madre) aspira ancora a vivere. La parte che dava sul terrazzo infatti si ricollegava anche dentro; a quell’area della casa dalla quale eravamo stati con tanta solerzia allontanati inizialmente. Un unico ingresso, un unico appartamento. “Ho capito bene?” chiede la signora in visita con noi. E prontamente l’agente: “Ma signora pensi ai vantaggi. Le spese sono tutte incluse! Il condominio, la luce, essendo impossibile dividerle non saranno mai una preoccupazione per voi perché ci pensa la signora!”.

 

Riscendo la scala a chiocciola, sbatto di nuovo davanti al corridoio-cucina, ora a fianco della donna di servizio c’è una signora sulla settantina. E’ lei: la madre-inquilina.

 

“Ti ho già spiegato che questi non sono Pachino, ma Datterino, e vanno tagliati in questo verso”, intima all’inserviente sottraendole la lama. Poi alza lo sguardo, mi squadra e subito mi sorride, chissà, magari tra qualche mese ci ritroveremo ad abitare insieme ed è meglio esser cortesi. Accenno un sorriso anche io, e lo sguardo corre al fondo del corridoio, nell’area preclusa (a noi) dell’appartamento: nella penombra c’è una giovane donna in piedi, viso stanco e infante al braccio, accanto a lei il marito che poco prima mi spiegava l’ingegnosità degli elettrodomestici nani. La donna guarda la suocera che impartisce ordini alla donna di servizio, lo sguardo livido di chi ha vissuto per troppo tempo ostaggio della cattività borghese. E capisco il tentativo disperato di spacciare per “attico superattico terrazzato” un ménage che rischiava di sfiorare la tragedia familiare.

 

Il problema abitativo riempie le conversazioni cittadine. Soffia nell’aria prenatalizia come una promessa di futuro. L’altra sera, in un ristorante del centro, al tavolo alla mia sinistra c’era chi arringava i commensali spiegando che “il mercato è crollato, la gente sta finalmente vendendo. Io v’o dico, si c’avete du’ spicci da parte, comprate”. Alla mia destra la conversazione tra due giovani donne, apparentemente di stampo più confidenziale e femminile: la prima, dopo essersi lungamente sfogata sulle mancanze del marito negli ultimi anni, confessa all’altra:

 

- “E quindi dopo l’aperitivo sono salita a casa sua. Il mio collega, dai, quello di cui ti avevo parlato, quello che mi corteggia da mesi…”.

 

- “Ah” dice l’amica ratificando rapidamente l’avvenuto tradimento. E subito aggiunge: “E la casa com’era?”.

 

Perché questo era il dato rilevante, l’elemento che avrebbe aiutato a capire se l’amica, dopo anni di tristezze coniugali, stesse andando incontro alla felicità o, più semplicemente, a un’amara divisione delle spese in un bilocale in zona Termini.

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