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Export e industria, ragioni per restare positivi sul recupero italiano

Francesco Forte

Non è vero che tutto va male in Italia. E non è vero che le politiche monetarie della Banca centrale europea non funzionano, a causa del veto tedesco alle politiche monetarie non convenzionali. A parte le teorie, mi interessa esporre i fatti, ossia i dati di ottobre del commercio estero italiano.

Non è vero che tutto va male in Italia. E non è vero che le politiche monetarie della Banca centrale europea non funzionano, a causa del veto tedesco alle politiche monetarie non convenzionali. A parte le teorie, mi interessa esporre i fatti, ossia i dati di ottobre del commercio estero italiano, che presentano una crescita notevole delle esportazioni e generano un incremento del surplus della nostra bilancia commerciale, indicando un trend ulteriore di espansione. Si tratta di una crescita del 2,9 per cento nell’ottobre del 2014 rispetto all’ottobre 2013 e del più 4 rispetto a settembre, nonostante il crollo delle esportazioni con la Russia (meno 15 per cento) che peraltro è solo lo 0,42 del nostro export totale. Il nostro export cresce invece del 13,7 per cento nel Regno Unito, del 21,2 in Polonia, dell’11 nella Repubblica ceca, del 7 verso gli Stati Uniti, e del 5,1 in medio oriente (soprattutto Turchia). Si tratta di paesi fuori dall’Eurozona, ove ci siamo avvantaggiati del cambio più basso dell’euro e del fatto che le loro economie sono in crescita grazie al sostegno delle rispettive Banche centrali.

 

C’è poi una ragione monetaria che ci aiuta nel rilancio, cioè nella crescita dell’internazionalizzazione dell’economia. Si tratta della flessione del tasso di cambio dell’euro con le altre valute, verso un livello più vicino alla parità dei poteri d’acquisto delle rispettive monete, dovuta all’espansione dell’offerta di euro, grazie soprattutto al bassissimo tasso di interesse adottato dalla Bce. Uno strumento tradizionale di politica monetaria che la vulgata keynesiana, abituata ai modelli di economia chiusa e a quelli di economia aperta con cambi controllati, generalmente trascura. Ma abbiamo esportato un più 22 per cento in Belgio, un più 7 in Spagna, più 2,2 in Olanda e più 2 verso la Germania. Tutti paesi dell’area euro. E’ stato obiettato che per l’espansione del nostro commercio all’interno dell’Eurozona non gioca un ruolo la riduzione del tasso di cambio. E’ una obiezione valida. Infatti per la competitività delle loro produzioni le aziende degli altri stati membri hanno cominciato a fruire non solo della riduzione del tasso di cambio, che avvantaggia l’export, ma anche del rincaro in euro delle importazioni provenienti dalle aree esterne all’Eurozona. E pertanto le nostre imprese sono ora più competitive di prima rispetto a quelle extra Eurozona nelle vendite verso l’area euro. In questo quadro generale, spiccano il rilancio dell’export di autoveicoli (14,5 per cento) e della componentistica dell’auto (12). Il settore Auto era fino a ieri il grande malato della nostra industria. Ha adottato la medicina dell’integrazione internazionale, quella di Fiat con Chrysler, che fa sì che i nuovi modelli di Jeep per l’Europa vengano prodotti in Italia, mescolando lo stile italiano e la robustezza duttile del prodotto americano. Ma questo non bastava per l’efficienza produttiva, occorreva – ed è stata attuata – la politica delle ristrutturazioni basata sul contratto di lavoro aziendale flessibile.

 

[**Video_box_2**] Non è il caso di esaltarsi: il gruppo Fca perde ancora in Italia e ci sono molti lavoratori in cassa integrazione nelle fabbriche Fiat. Ma la terapia del rilancio sta funzionando: la pista da percorrere è quindi tracciata. Ora nel risanamento ci aiutano i ribassi dei prezzi del petrolio e del gas, ribassi strutturali a causa dell’offerta di shale gas e di petrolio estratti dai pozzi profondi e dalle aree che fino a pochi anni fa erano difficili da esplorare. Da ciò consegue che sono più convenienti in Italia le industrie energivore con produzioni d’eccellenza, come ad esempio gli acciai di qualità o la petrolchimica semi fine. Il made in Italy del resto è anche qui.

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