Un militare dell'esercito libico durante un combattimento con le milizie islamiste a Bengasi (foto AP)

Due terminal evacuati

In Libia mai così male, ora Renzi ascolta pure Prodi l'Africano

Daniele Raineri

Le due fazioni in guerra assaltano il settore che finora avevano risparmiato, il tandem banche e settore energetico.

Roma. Ieri il premier Matteo Renzi ha incontrato il suo predecessore Romano Prodi per parlare della situazione in Libia e in Ucraina (così dice la versione ufficiale, perlomeno). Si tratta di un incontro che suona anche come un risarcimento, dopo che negli scorsi mesi l’ex presidente del Consiglio era stato contattato con discrezione dalla presidenza del Consiglio per parlare di un suo possibile ruolo di mediazione tra Ucraina e Russia, ma poi la proposta era stata lasciata cadere senza spiegazioni. Inoltre, i paesi dell’Unione africana fin dal 2011 considerano Prodi un candidato forte per il ruolo di negoziatore sulla questione libica, ma il governo italiano non ha fatto sponda alla loro posizione e a maggio il posto di inviato speciale delle Nazioni Unite è andato allo spagnolo Bernardino León.

 

Negli ultimi quattro giorni le due fazioni in guerra in Libia hanno fatto un passo senza precedenti e hanno aggredito l’unico settore che finora era scampato alla violenza, vale a dire il circuito di estrazione di gas e petrolio, di esportazione e infine di spartizione dei ricavi attraverso la banca nazionale del paese.

 

Il governo di Tobruk – che è quello appoggiato dagli stati arabi del Golfo e dall’Egitto ed è in genere considerato “più legittimo” all’estero, e comanda le forze militari della cosiddetta operazione “Dignità” – ha proposto un circuito dei ricavi energetici alternativo, che taglierebbe fuori i rivali. L’altro governo libico, quello di Tripoli, che comanda le milizie dell’Alba della Libia, islamiste ma non tutte, ha risposto domenica con un attacco militare ai due grandi porti per l’export di petrolio a Es Sider e a Ras Lanuf.

 

Finora le due parti si erano trattenute da questa mossa, che potrebbe diventare un suicidio economico nazionale – il settore energia conta per più del novanta per cento del budget di stato libico. Ora puntano alla giugulare dell’altro.
I due porti sono a metà strada tra la capitale e il confine egiziano, centinaia di chilometri più a est del terminal di Melita usato dall’italiana Eni – che non corre pericolo.

 

L’attacco è però il segnale che le due parti sono pronte a fare con il settore dell’energia quello che hanno fatto con l’aeroporto internazionale di Tripoli, distrutto la scorsa estate negli scontri senza risparmiare gli aerei rimasti sulle piste.
Le milizie dell’Alba sabato hanno dichiarato di avere cominciato un’operazione militare “per liberare campi petroliferi e terminal”. Il governo di Tobruk ha risposto con bombardamenti aerei che hanno causato 27 morti, secondo fonti locali. I due terminal sono stati chiusi a causa dell’attacco, anche se assieme rappresentano più della metà dell’export di petrolio nazionale. Es Sider è stato evacuato dai lavoratori e la National Oil Corp. (Noc), la compagnia di stato della Libia che controlla il petrolio, ha invocato con i clienti la clausola di “forza maggiore”.

 

[**Video_box_2**]La Noc in questo momento gode grazie alla clausola di uno status legale che la protegge dalle richieste di risarcimento di chi ha comprato petrolio che non vede arrivare. Ma come dice l’analista Riccardo Fabiani a Bloomberg Businessweek, s’è innescato un meccanismo autodistruttivo: il governo di Tobruk vuole tagliare il governo di Tripoli fuori dai ricavi dell’energia, e quello risponde occupando le infrastrutture – o distruggendole in battaglia, se necessario. In questo momento il tandem Noc-Banca centrale sta accumulando i ricavi senza spenderli, nel tentativo di restare neutrale tra i due contendenti, e si limita a pagare gli stipendi e i costi dell’amministrazione pubblica. Il primo ministro – esecutivo Tobruk – Abdallah al Thinni ha detto mercoledì scorso che le banche fuori dal controllo del governo legittimo (il suo) saranno escluse dal circuito e non potranno più fare pagamenti. “Ci vorrà qualche settimana”, ha detto.

 

Ora che la guerra lambisce i settori strategici, si riapre la questione dell’intervento militare esterno – a cui potrebbe partecipare anche l’Italia. Negli scorsi mesi ci sono state voci che hanno riguardato Parigi e Roma – truppe messe in stato d’allerta, navi spostate, incontri per prendere decisioni – che sono state tacitate, per quanto riguarda l’Italia, dal ministro degli Esteri Gentiloni e da quello della Difesa Pinotti. “Siamo pronti a mandare truppe di terra, ma soltanto a condizione che ci sia un mandato delle Nazioni Unite”, hanno detto entrambi. Questa settimana in teoria sono previsti i nuovi negoziati delle Nazioni Unite, ma manca ancora la conferma su giorno esatto, luogo e partecipanti.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)