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Ora gli editori spagnoli si accorgono che hanno bisogno di Google (e non viceversa)

Luciano Capone

Dopo la decisione di Mountain View di interrompere il servizio dell'aggregatore di news nel paese, il governo di Madrid potrebbe tornare sui suoi passi e chiedere di aprire una trattativa. La chiusura pesa più sui servizi di informazione che sul colosso californiano.

È durato poco il braccio di ferro tra Google e gli editori spagnoli. Dopo tre giorni dall’annuncio della chiusura fissata per martedì 16 dicembre di Google News, il servizio che aggrega le notizie, gli editori hanno chiesto al governo di fare in modo che "Big G" torni sui suoi passi. "Data la sua posizione dominante sul mercato – ha scritto in un documento l’Aede (Associazione spagnola editori giornali) - la chiusura di Google News avrà senza dubbio un impatto negativo sui cittadini e le imprese spagnole" e pertanto chiedono un intervento al governo e ai regolatori del mercato affinché il servizio resti aperto.

 

La chiusura di Google News era stata decisa da Mountain View a seguito dell’introduzione di una “tassa sui link”, richiesta al governo proprio dagli editori spagnoli, e che dal 1° gennaio obbligherà qualsiasi servizio che pubblichi un link o una citazione di un articolo a pagare un “equo compenso” all’editore. L’iniziativa, come tante altre nei paesi europei nei settori innovativi e tecnologici (si pensi all'imposta che in Italia riscuote la Siae), aveva l’obiettivo di recuperare il calo del fatturato pubblicitario senza applicare il prelievo forzoso su quello che viene ritenuta “proprietà intellettuale”. Google aveva reagito alla decisione del governo spagnolo chiudendo il servizio: "Questa nuova legge – aveva dichiarato Richard Gingras, Head of Google News - impone alle testate di richiedere un compenso a Google News per mostrare anche piccoli frammenti del loro testo, indipendentemente dal fatto che queste vogliano farsi pagare o no. Dal momento che Google News non genera ricavi (non mostriamo nessuna pubblicità sul sito) questo approccio semplicemente non è sostenibile. Perciò, è con grande dispiacere che il 16 dicembre (prima dell'entrata in vigore della nuova legge a gennaio) rimuoveremo gli editori spagnoli da Google News e chiuderemo il servizio in Spagna".

 

Già qualche tempo fa il più grande editore tedesco, il colosso Axel Springer, aveva deciso autonomamente di uscire da Google News, cioè di impedire a Google di usare i propri frammenti di articoli senza un previo compenso. La prova di forza di uno dei più grandi editori europei è durata pochissimo, meno di un mese, il tempo di vedere quasi dimezzato il traffico dei propri siti. E così, a inizio novembre, Axel Springer è tornata sui suoi passi e ha chiesto a Google di essere di nuovo indicizzata nel suo servizio di News. Visto il fallimento della strategia autonoma di rifiuto dei servizi del colosso americano, gli editori spagnoli hanno percorso un’altra strada, non quella di uscire da Google News, ma di obbligare Google a pagare una tassa per l’utilizzo dei contenuti editoriali. Come era ipotizzabile, le conseguenze dell'abbandono del mercato spagnolo sono ridotte per "Big G", che chiude un servizio che non genera ricavi in uno stato di circa 50 milioni di abitanti, mentre sono molto più pesanti per gli editori, visto che Google News è una delle più importanti fonti di traffico e la principale finestra su un mercato di lettori in lingua spagnola che è di almeno 500 milioni di persone.

 

[**Video_box_2**]Così gli editori, che prima avevano chiesto al governo di intervenire contro Google, ora chiedono allo stesso governo di impedire che Google chiuda il suo servizio di News. Come ha dichiarato a The Spain Report la portavoce dell’Associazione, Irene Lanzaco, gli editori spagnoli "non chiedono a Google di fare un passo indietro, ma di aprire delle trattative". Dopo aver perso il braccio di ferro e aver dimostrato che Google News è più importante per gli editori e i giornali di quanto non sia il contrario, il colmo sarebbe se al tavolo della trattativa stavolta fosse Google a chiedere ai giornali soldi per comparire nel suo aggregatore.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali