Surreale viaggio a ritroso dall'Urbe al crac, travolti dal flirt Lega-Cgil

Mario Sechi

I titoli di coda del 2014 scorrono sullo schermo, ma lo spettacolo è quello di un orologio con le lancette impazzite che corrono inesorabilmente indietro. Allora, vediamolo a ritroso, il film della settimana.

E’  il sottosopra. Gli opposti si uniscono, il presente galoppa nel passato. I titoli di coda del 2014 scorrono sullo schermo, ma lo spettacolo è quello di un orologio con le lancette impazzite che corrono inesorabilmente indietro. Allora, vediamolo a ritroso, il film della settimana. E’ venerdì 12 dicembre e sembra di essere sotto il bombardamento degli Stuka. Giorgio Napolitano alle 10 e 44 avverte tutti: “La discussione sia pacata”. Come no? Alle 13 e 40 entra in scena la felpa di Matteo Salvini: “E’ corresponsabile di tutto quello che è avvenuto in questo paese e della cessione di sovranità all’Europa, quindi Napolitano dovrebbe avere il buon gusto di tacere”. Ricordo un bel po’ di leghisti al governo dal 1994 in poi, ma forse erano alieni dell’asteroide Pontida. L’opposizione picchia e il flirt tra Lega e Cgil è qualcosa di surreale. Fazzoletto rosso e camicia verde, tutto torna. Susanna Camusso sfila e dice “basta ai dilettanti”, mentre Salvini passa dal total nude alla total war politica. E’ la saldatura a scintille del coro dei professionisti del peggiorismo.

 

Tira un’ariaccia in Europa, giovedì 11 dicembre Napolitano vola a Torino per un dialogo italo-tedesco e prova a tenere insieme la baracca che oscilla. I rapporti tra Roma e Berlino scricchiolano, il presidente avvisa i naviganti: “La discussione non può scivolare sul terreno dei luoghi comuni, dei clichè negativi che rimbalzano da una parte all'altra”. Arriva subito il contributo alla pacificazione da parte del presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker: “L’Italia non si lamenti, era da procedura di infrazione”. Juncker è in difficoltà, anche i profitti della Disney, si sono riparati nel suo Lussemburgo, lui nega di aver dato sollievo alla dichiarazione dei redditi di Minnie e Topolino e tira fendenti sul paese del Grande Debito, l’Italia. Dove i pasticci non mancano. Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi precetta i ferrovieri per le vie brevi, la Cgil s’inalbera di brutto, Renzi alla fine deve intervenire per non beccarsi un boomerang in faccia. Sempre indietro si torna.

 

Continuo il viaggio a ritroso sul taccuino. Mercoledì 10 dicembre compare di nuovo lui, Napolitano. E’ all’Accademia dei Lincei che il presidente apre il rush finale che condurrà poi alle sue dimissioni. Passaggio fondamentale: “La critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, purché non priva di obiettività, senso della misura, capacità di distinguere ed esprimere giudizi differenziati, è degenerata in antipolitica, cioè in patologia eversiva”. Sono le 17 e 32 e il discorso di Napolitano brilla come la lama di un rasoio.  Poche ore prima, incommissione Affari costituzionali, i malpancisti del Pd hanno affondato il governo sulle riforme. Gesto da fuori i secondi che Roberto Giachetti alle 16 e 04 non si lascia sfuggire: “I frammenti di minoranza finalmente si uniscono. Obiettivo, impallinare il governo. Con amici così a che servono i nemici? Elezioni subito”. Dopo la strana coppia Lega-Cgil, ecco spuntare l’altro rapporto di minoranza. Niente a che fare con Philip K. Dick e Tom Cruise, è semplicemente il deputato di Forza Italia Maurizio Bianconi, il dissidente, che ha votato con gli anti-renziani del Pd il no ai senatori a vita di nomina presidenziale. “Rappresento la volontà di altri 17 colleghi”, dice. Cortocircuito.

 

Scintille a raffica, Roma brucia. L’inchiesta sull’Urbe mafiosa tiene banco, martedì 9 dicembre il Moleskine sembra un residuato bellico dei tempi di Mani pulite. Renzi cede al richiamo pavloviano del suo partito. Più giudici per tutti e vai con l’inasprimento penale. Una resa, due errori. Così alle 18 e 36 annuncia “allungheremo i tempi della prescrizione” e pena minima da quattro a sei anni. E Roma? No problem, Marino è di fatto esautorato, a gestire la Capitale ci pensano prefetti, magistrati e massimario delle sentenze. Crac. Era chiaro che sarebbe andata così. Lunedì 8 dicembre di fronte al polverone Renzi indossa il maglione rosso e va a una riunione dei giovani democratici: “Non lasceremo Roma in mano ai ladri”. Ho capito, siamo alle solite. Chiudo il taccuino. Mi viene in mente “Tutti dentro” di Alberto Sordi, quando il giudice senza macchia e senza paura, Annibale Salvemini, si mette nei guai con le sue mani e risponde così a un cronista: “Almeno l’ingiustizia sia uguale per tutti!”. Sì, è il sottosopra.

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