Un drone

I Droni sotto l'albero

Giulia Pompili

Nati per necessità militari (dall’Afghanistan in poi), stanno per diventare i nuovi postini di Google e Amazon, provano a consegnare pizze, sorvegliano vulcani. La tecnologia c’è, le regole per l’uso non ancora. Rivoluzione o no?

Roma. La prima volta nella storia che un drone ha consegnato una pizza a domicilio è stata a Mumbai, nel maggio scorso. La pizza fumante di Francesco’s, un locale molto alla moda al centro della capitale del Maharashtra, ha raggiunto il cliente che si trovava in un grattacielo a un chilometro e mezzo dal ristorante. Era un test, certo, ma subito dopo la diffusione del video #DroneDeliversPizza la polizia indiana ha aperto un’inchiesta, perché l’uso commerciale dei velivoli senza pilota non è ancora regolato e “potrebbe compromettere la sicurezza”. In realtà la trovata di Mikhel Rajani, in una delle città più trafficate al mondo, non era poi così rivoluzionaria. A Mumbai sin dalla fine dell’Ottocento il servizio del pranzo a domicilio è affidato ai dabbawala, letteralmente gli uomini che portano le scatole. E’ sempre in India che Amazon, la società fondata da Jeff Bezos vent’anni fa, ha promesso di testare la sua consegna a domicilio tramite drone. Il servizio si chiamerebbe Prime Air, e il condizionale è d’obbligo perché sono mesi ormai che Bezos annuncia l’introduzione di un sistema rivoluzionario che poi, puntualmente, viene rimandato.

 

Anche Google X ad agosto ha mostrato al mondo Project Wing, un drone da due anni in fase di elaborazione nel laboratorio segreto della società di Mountain View, su cui nessuno sa niente. Il drone di Google X è diverso dagli elicotterini che ormai siamo abituati a vedere. E’ più simile a un aereo, e grazie alla sua struttura sarebbe in grado di trasportare oltre un chilo e mezzo di carico. Anche Google ha deciso di testare il suo Project Wing fuori dall’America, in Australia. Ma perché l’uso commerciale dei droni stenti a decollare (è il caso di dirlo) lo ha spiegato la Nasa al New York Times a settembre. E’ la Nasa, infatti, l’agenzia incaricata da Washington di monitorare e trovare una soluzione al problema: in aree ad alta densità abitativa, dove ogni cosa che vola può essere un pericolo per la sicurezza, un drone può essere considerato una minaccia, anche per la privacy. Per questo l’uso civile più prossimo dei droni è quello agricolo. Ed è per questo che ciò che attira di più i civili nell’acquisto di un drone è la telecamera. I modelli in vendita su Amazon vengono utilizzati soprattutto per le riprese. Esistono service che affittano droni con telecamera e pilota, e per l’industria cinematografica sono molto meno costosi dell’affitto di un elicottero. Solo che poi vengono i guai. A febbraio un giornalista ha sfidato la legge sulla privacy per andare a riprendere con un drone la scena di un incidente automobilistico avvenuto a Hartford, negli Stati Uniti. E’ stata aperta un’inchiesta, il giornalista ha perso il lavoro.

 

[**Video_box_2**]Qualche giorno fa un locale di New York, che faceva volare droni con il vischio sopra la testa delle coppie presenti, ha perso il controllo del velivolo e ha rotto il naso a una cliente. Nella rivoluzione dei droni, dunque, c’è qualche problema di tempismo. Anche perché, se fosse un problema linguistico, dovremmo dire che il drone non esiste. Non esistono velivoli che si muovono da soli, e neanche aerei che volano senza pilota. Il pilota c’è, solo che è a terra, oppure ha programmato una rotta. Fino a un anno fa la parola drone evocava immagini di morte e distruzione (ora li usano anche i tifosi allo stadio per provocare battaglia, come hanno fatto gli albanesi con i serbi). “La regina dei droni” è, non a caso, il tema della prima puntata della quarta stagione di “Homeland”, la serie tv tutta sicurezza nazionale e terroristi che racconta la lotta della Cia ai talebani ma in chiave quasi pop. Durante la puntata un personaggio chiede alla protagonista se sia più facile uccidere come se si vivesse in un videogame. In realtà il senso di responsabilità è lo stesso, spiega lei. “La rivoluzione dei droni è iniziata con il Predator”, spiega Richard Whittle del Woodrow Wilson International Center. Già nel 1917, spiega Whittle, le Forze armate stavano testando un monoplano autonomo che chiamavano torpedo aereo. Oggi conosciamo i droni degli strike americani, ma nel Pacifico un paese che per anni non ha potuto investire sulle Forze armate ha sviluppato tecnologie rivoluzionarie per ragioni civili: le aziende private giapponesi sono all’avanguardia nell’uso di veicoli con piloti remoti, soprattutto per i frequenti disastri naturali. E’ il caso di Enroute, per esempio, che ha testato qualche giorno fa un suo drone dentro un vulcano. Quella del drone è un’ossessione, in Asia, come dimostrano le fotografie dei resti di alcuni elicotteri-spia radiocomandati, poco più che giocattoli, trovati in territorio sudcoreano, subito oltre il confine con la Corea del nord.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.