Il sindaco di Roma Ignazio Marino (foto LaPresse)

Tutto il potere ai magistrati

Redazione

Marino e il Pd renziano che non riesce a liberarsi dal partito dei pm. Il meccanismo è sempre lo stesso ed è identico a quello, non proprio fortunato, osservato già ai tempi di Mani Pulite: le inchieste colpiscono la politica e la politica per mostrare la sua purezza si affida a un magistrato.

Tutto il potere ai magistrati, again. Se è vero che il Partito democratico di Renzi doveva essere la prima grande forza politica di centrosinistra capace di emanciparsi dall’egemonia culturale del partito dei magistrati, si può dire che, mettendo insieme alcuni puntini, l’esperimento renziano stia riuscendo solo a metà. Dopo il susseguirsi veloce delle inchieste su Expo e su Mose, Renzi, per mostrare la purezza assoluta del suo partito, ha scelto di puntare forte su un pm per rappresentare plasticamente la vicinanza del suo Pd alla parola legalità e ha trasformato il magistrato Raffaele Cantone, capo dell’Autorità anti corruzione, di cui nessuno in Italia ha ancora capito esattamente le funzioni specifiche, in un grande simbolo dell’onestà della sinistra (inutile dire che Cantone sia stato anche uno dei beniamini della Leopolda).

 

Il meccanismo è sempre lo stesso ed è identico a quello, non proprio fortunato, osservato già ai tempi di Mani Pulite: le inchieste colpiscono la politica e la politica per mostrare la sua purezza si affida a un magistrato. Ieri pomeriggio il meccanismo è stato fedelmente replicato anche dal sindaco di Roma, Ignazio Marino. Anche qui la dinamica è pavloviana: le inchieste colpiscono la politica, la politica per difendersi dalle inchieste fa la faccia cattiva, chiama ladri gli indagati anche se sono solo presunti ladri indagati, promette di fare una grande piazza pulita, promette di alzare le pene per i reati, di introdurre nuovi reati, dichiara di essere sconcertata dall’idea che in carcere ci siano così poche persone condannate per quel tipo di reato e poi, alla fine, a corto di fiato, per mostrare il suo volto puro e specchiato decide, facendo in questo caso mille occhiolini ai grillini e agli antipolitici in genere, di affidare a un giudice il compito di rappresentare la legalità. Da ieri, Alfonso Sabella, ex membro del pool antimafia della procura di Palermo ai tempi di Gian Carlo Caselli, beniamino di Marco Travaglio, è l’assessore – appunto – a: “Legalità, trasparenza e appalti del comune di Roma”. Tutto il potere ai pm, ancora di più, e per di più nella città in cui i procuratori annunciano arresti futuri alle conferenze del Pd. La sinistra di Renzi, da questo punto di vista, continua a fare poco per rottamare un equivoco che ha fatto male a quella parte politica. Un apparentamento che negli anni ha rafforzato un’impressione difficile da negare: che il partito delle procure e il partito della sinistra, in fondo, siano due facce della stessa medaglia. Se poi sarà davvero Felice Casson, ex magistrato, a essere il prossimo candidato del Pd a sindaco di Venezia, la Venezia del Mose, il cerchio, come dire, non potrà che considerarsi chiuso.